🧠Domenica 26 ottobre 2025
👣 Bloccata sull'isola
⭐ Il vento forte come unica compagnia
Prima o poi doveva succedere.
La navigazione è stata sospesa a causa del maltempo.
Le previsioni annunciano onde di quattro metri, e venti di trenta nodi (Forza 7 della Scala Beaufort): la mappa del sito che consulto da sempre per bollettini accurati sulla forza del vento e sullo stato del mare è una tavolozza di colori che in una sola giornata vira dall'azzurro dei 10 nodi al verde dei 20 nodi all'arancio dei 30 nodi.
Il traghetto non parte.
Né da Formia, né da Ponza.
I collegamenti marittimi sono cancellati per "condimeteo avverse", espressione mai così azzeccata.
Il mare si gonfia di cavalloni bianchi e tutta l'isola è avvolta da un vento di ponente che entra in ogni cala e ogni vallata.
La pioggia arriva giovedì sera e cade per tutta la notte: il mattino di venerdì è grigio e le finestre della casetta sono rigate da gocciolone d'acqua frammiste a polvere e sabbia, graffiti naturali talmente fitti da farmi pensare che i vetri siano stati smerigliati.
Non riuscirò a pulirli mai più.
Resto sull'isola.
Dai racconti isolani immaginavo (e speravo) che accadesse più avanti, nei mesi invernali di gennaio e febbraio, quando i fenomeni meteorologici estremi sembrano più frequenti.
Ma ormai non ci sono più le mezze stagioni, signora mia, e anche se c'è ancora chi si ostina a non (voler) credere ai cambiamenti climatici, qui sull'isola mi pare ancor più evidente che il surriscaldamento globale stia sovvertendo le stagioni, le temperature e pure il mio stato d'animo.
Fa caldo come in pieno agosto, ma piove come in pieno inverno, e il vento è così forte da fare tremare le mura della casetta.
Gli ululati del vento sono così penetranti che a scuola non si riesce a sentire quel che dice la prof. e a casa devo alzare il volume della musica. Le raffiche del vento sono così violente che piegano alberi e persone, arruffano capelli e strappan via cappelli, tanto che per rientrare a casa mi sono dovuta fermare più volte in qualche angolo ridossato.
Le canne selvatiche cresciute sul bordo della strada sono piegate dal vento, tanto che i ciuffi pelosi e giallognoli arrivano a toccare terra; riscopro il piacere di ascoltare il canneto che suona al vento, anche se il rumore sordo emesso dei fusti cavi, sbatacchiati in modo così irregolare, non è poi così rilassante come quello delle campane a vento orientali, ma ricorda piuttosto quello secco e inquietante delle nacchere, come se fossero percosse in maniera furiosa da folletti del bosco dispettosi e invisibili.
Sibili, fischi e mugolii compongono la colonna sonora di questo mio fine settimana a Ponza.
Mi sento calata nel più lungo romanzo che abbia mai letto: "Un temporale che esplode sopra i tetti, i tuoni rimbalzano sulle tegole come palloni calciati dalla luna, il vento uggiola tra le imposte e strilla tra le chiome degli alberi, le travi cigolano e le voci umane si confondono nel battito martellante della grandine sui coppi e sui teloni della serra". [Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi].
C'è tutto sull'isola, manca solo la grandine.
La settimana scolastica è stata piena di impegni pomeridiani, tra consigli di classe e incontri con le colleghe di sostegno, e così recupero del tempo per me sola, facendo lunghe passeggiate di esplorazione dell'isola.
Venerdì scendo lungo una scalinata sconnessa che dalla strada principale conduce giù verso il mare, passando prima tra case bianche cinte da giardini nascosti da alte mura pure bianche, e finendo poi tra scogliere di origine vulcanica in cui sono state intagliati scalini via via sempre più stretti.
Si arriva ad una specie di fonte naturale, una vasca ricolma di capelvenere e finocchio di mare, piantine delicate che ricoprono con un tocco di verde intenso la roccia ocra e grigia. Le scalette si interrompono sugli ultimi scogli e per raggiungere il mare è stato fissato alla parete un tirante d'acciaio, che non mi azzardo neanche ad avvicinare perché l'acqua dolce della risorgiva ha ricoperto il passaggio già impervio di uno scivoloso strato di alghe.
Ammiro il mare dall'alto, protetta dagli spruzzi frequenti delle onde dietro una sporgenza rocciosa che affaccia su un vecchio bunker militare dell'ultima guerra: Cala dell'acqua da questa prospettiva sembra un'altra cala e resto ammirata da questo gioco di scorci incrociati - finalmente ho capito come raggiungere la scalinata interrotta che da tempo guardavo dall'altro versante della baia.
Una volta tornata sulla strada principale, provo a chiedere alla signora seduta in terrazza se la stradina ha un nome e lei mi risponde così: "Se ce l'ha, lo sanno solo le persone che ci vivono".
| Sabato invece mi metto in testa di andare a fare il bagno. |
In realtà , Cala Gaetano della cala ha solo il nome, perché ai piedi della scalinata intagliata nella roccia, e zigzagante per 330 faticosissimi scalini irregolari, non c'è neanche un granello di sabbia, soltanto scogli ammassati alla rinfusa e lavorati dal mare e dal tempo.
| Resto a godermi lo spettacolo meraviglioso e ipnotizzante del mare in burrasca, guardandomi attorno tra l'ammirato e il preoccupato perché la natura può essere tanto accogliente quanto minacciosa. |
Non mi riesce di farmi il bagno, nonostante il caldo che mi avvolge non appena il sole fa capolino tra le nuvole: riproverò oggi pomeriggio, se trovo una caletta che non sia investita dalle solite raffiche, anche se per domenica è previsto un peggioramento ulteriore delle condizioni e il vento ha già ripreso a dominare l'isola, riempiendo di nuove sonorità queste mie lunghe giornate di riposo e di scoperta... |
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| Cala Cecata di sabato mattina |
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| La manina di Cala Cecata con i molluschi detti cornetti comuni (Osilinus turbinatus |
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| Cala Gaetano nel sole di sabato |



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