IL BLOG DI TATIYAK

Il kayak è diventato la nostra grande passione, quella che ci appaga al punto da abbandonare tutte le altre per dedicarci quasi esclusivamente alla navigazione.
In kayak solchiamo mari, silenzi, orizzonti ed incontriamo nuovi amici in ogni dove...
Così abbiamo scoperto che la terra vista dal mare... è molto più bella!
Tatiana e Mauro

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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14 novembre 2025

Il sostegno dell'isola - diario scombinato di un'insegnante in trasferta a Ponza 💙 #9

🧭 Giovedì 13 novembre 2025
👣 Lontananza e distanza
⭐ La musica che parla di isola

Oggi torno per la terza volta in una settimana al Forte Papa, una vecchia fortezza diroccata che si affaccia su Cala dell'acqua.
Ogni volta sfrutto "l'ora di buco" a scuola per uscire a farmi una breve passeggiata verso uno dei punti panoramici più affascinanti di questo versante dell'isola: il sentiero si snoda lungo la vecchia cava ormai abbandonata e serpeggia tra le bianche collinette di bentonite dilavate dalle intemperie, delimitato da una lunga staccionata di legno i cui pali a croce in alcuni punti hanno ceduto, lasciando libero il passaggio alla cauta esplorazione dei dintorni della fortezza, fino all'estrema punta rocciosa che si affaccia a strapiombo sul mare.

Nei pressi del belvedere è stata sistemata, all'ombra di uno stentato arbusto di ginepro coccolone, un'alta panchina di legno dalla cui seduta, dura ma solida, si può ammirare in tutto il suo splendore lo stretto braccio di mare che si distende tra Ponza e Palmarola.
È diventato uno dei miei luoghi preferiti perché si respira insieme l'odore del mare e della macchia. E anche perché, pur frequentato assiduamente in altri periodi dell'anno, a giudicare dalle tracce dei fuochi d'artificio e delle cartucce da caccia, al mattino è sempre deserto, silenzioso e accogliente.

Resto spesso a guardare il mare.
Da quassù ispira timore e rispetto, quando è agitato dal vento che soffia deciso da ogni direzione, ma anche pace e tranquillità, quando invece è calmo e pacioso come in questi ultimi giorni di persistente bonaccia.
Il volo dei rari gabbiani mi ipnotizza, talvolta passano rapidi dei falchetti che quasi non faccio in tempo a riconoscere, talaltra si alzano nervose dai cespugli le quaglie, e spesso scorgo storni e merli che raspano con becco e zampe alla ricerca incessante di vermetti e insetti.

La vista sulla fortezza è alquanto attraente perché i vecchi ruderi, con un unico arco ancora intatto che si apre come una bocca sdentata sul blu del cielo, sono immersi nel verde variegato della lussureggiante vegetazione che li avvolge su ogni lato.
La macchia mediterranea, ancora carica di infiorescenze profumate in questo autunno inoltrato e caldissimo, invade gli stretti sentieri che costeggiano la fortezza in maniera così rigogliosa che in alcuni tratti rende difficile il passaggio, ostruito da un fitto intreccio di rami e radici che nascondono il sentiero e rallentano il passo.
Dallo sperone roccioso oltre la fortezza lo spettacolo è ancora più suggestivo, perché dopo pochi metri la scogliera precipita in mare e ci si può sedere su alcuni scaloni naturali che sembrano sospesi nel vuoto.

Quando siamo andate a visitare il giardino botanico, la guida ci aveva a lungo parlato di un testo fondamentale per la conoscenza della storia delle isole ponziane, la Monografia per le isole del Gruppo Ponziano, un'opera ponderosa redatta nel 1855 da Giuseppe Tricoli, illustre antenato dei Tricoli ponzesi che, dopo la costituzione dello stato unitario, ha ricoperto anche la carica di sindaco dell’isola (facendo qualche breve ricerca, ho scoperto che i Tricoli sono arrivati a Ponza dall'isola di Lipari all’inizio del 1800, che erano considerati anticlericali dai Borbone e che per questo subirono "qualche sopruso": devo ancora capire di quale sopruso s'è trattato, dovrò forse tornare a chiedere alla guida del Giardino botanico).

Nella Monografia si parla anche del Forte Papa: "L'amena ed ubertosa contrada della Forna nella stessa Ponza, lungi cinque miglia dallo abitato, si rimaneva ancora deserta, perchè i primi coloni erano retrosi ad avervi possedimenti, anche per la poca sicurezza. Vi rimediò il Regnante colla costruzione del Forte Papa sullo sporgente riguardante la romagna, e che domini quel seno di ricovero, con tre pezzi di artiglieria, e ponte alzante."
La storia del luogo è interessante, perché attesta una successione di eventi e di costruzioni: "Per poter assicurare una certa sicurezza ai coloni Torresi che arrivarono nel 1772 e si stabilirono a Le Forna, Re Ferdinando fece costruire Forte Papa. Ma in quel luogo, forse, c'era già stata una fortificazione, nel secolo XVI, pare voluta da papa Paolo III, erede della famiglia Farnese, proprietari dell'isola, proprio a scopo difensivo. Ecco l'origine del nome Forte Papa". (tratto dal sito mondimedievali.it)
E in effetti, l'unico segnale posto all'ingresso del sentiero che conduce al Forte Papa, riporta la metà del XV secolo come riferimento temporale.

Mentre resto in silenzio ad osservare la fortezza e il mare, mi capita anche di fermarmi a riflettere sulla differenza, se mai ne esiste davvero una, tra i due termini "lontananza" e "distanza": usati spesso come sinonimi, in questi giorni mi hanno fatto presumere una loro certa specificità.
La lontananza contiene l'assenza e la mancanza, che spesso non riescono ad essere colmate neanche quando si affievolisce la lontananza stessa, geografica o emozionale che sia.
La distanza, invece, mi pare colmabile con la cura, l'attenzione e l'empatia, in modo che quella distanza, talvolta enorme, si possa ridurre e persino azzerare.
Mi si dirà che essendo sinonimi, lo stesso può valere per i due termini, del tutto intercambiabili, ma non so spiegare perché mi frulla in testa questo pensiero strampalato e l'ho voluto trascrivere nel diario anche in modo così approssimativo.
Anche se forse un motivo c'è.

Questa settimana sono tornata sull'isola con un giorno di ritardo, visto che domenica scorsa non ho potuto prendere il solito traghetto pomeridiano (rimandato quindi al lunedì) perché ho suonato nello spettacolo musicale della Piccola Orchestra di Musiche dal Mondo, la mia nuova famiglia musicale da quando tre anni fa ho iniziato a seguire le prove della luminosa maestra Luigia Berti. 

Il concerto è stato un piccolo grande successo, non solo perché il testo è stato cucito dalla direttrice su vari testi musicali e poetici relativi alle isole, nella loro dimensione tanto geografica che metaforica, ma anche perché lo abbiamo portato nel cuore del SOTTOSCALA9 Circolo Arci di Latina, un'isola felice della mia città natale che stiamo cercando di salvare e rilanciare.

Il nome dello spettacolo musicale è per me molto coinvolgente: "Io non lo so se il mare finisce" 🎶
Certe volte, sull'isola, affacciata alla veranda della casetta oppure a qualche balconata naturale che si apre sulle tante cale dei dintorni, mi ritrovo a pensare che davvero il mare sembra non avere fine. È ovunque, abbraccia l'isola da ogni lato, e raggiunge l'orizzonte senza incontrare quasi nessun ostacolo. Visto da casa è un mare che non so se e dove finisce. 

È un mare che mi fa sentire sia la lontananza che la distanza: lontananza da persone, attività ed eventi che non riesco più a seguire; distanza da persone, attività ed eventi che invece riesco ancora a seguire, perché trovo e troviamo i giusti espedienti per ritrovarci. Ieri sera, per esempio, sono riprese le prove musicali per il nostro nuovo progetto artistico e sono stata così felice di poterle seguire a distanza che per una volta non mi è pesata affatto la connessione da remoto!

La musica mi è arrivata forte e chiara, vivace ed energica, così penetrante da farmi sciogliere tutti quei groppi che mi si erano bloccati in gola in questa ultima settimana, forse quella emotivamente più faticosa dall'inizio della mia permanenza sull'isola.
Ecco, la musica guarisce! Anche a distanza!


L'unico cartello che porta al Forte Papa, ma che nette in chiaro il periodo di costruzione
La fortezza vista dalla panchina della cava
L'unica porta di ingresso immette in una saletta separata dal resto della fortezza, che quindi resta impenetrabile...
Il sentiero che corre attorno alla fortezza
Una vasca ricavata nella roccia del belvedere

26 ottobre 2025

Il sostegno dell'isola - diario scombinato di un'insegnante in trasferta a Ponza 💙 #7

🧭 Domenica 26 ottobre 2025
👣 Bloccata sull'isola
⭐ Il vento forte come unica compagnia

Prima o poi doveva succedere.
La navigazione è stata sospesa a causa del maltempo.
Le previsioni annunciano onde di quattro metri, e venti di trenta nodi (Forza 7 della Scala Beaufort): la mappa del sito che consulto da sempre per bollettini accurati sulla forza del vento e sullo stato del mare è una tavolozza di colori che in una sola giornata vira dall'azzurro dei 10 nodi al verde dei 20 nodi all'arancio dei 30 nodi. 

Il traghetto non parte.
Né da Formia, né da Ponza.
I collegamenti marittimi sono cancellati per "condimeteo avverse", espressione mai così azzeccata.
Il mare si gonfia di cavalloni bianchi e tutta l'isola è avvolta da un vento di ponente che  entra in ogni cala e ogni vallata.
La pioggia arriva giovedì sera e cade per tutta la notte: il mattino di venerdì è grigio e le finestre della casetta sono rigate da gocciolone d'acqua frammiste a polvere e sabbia, graffiti naturali talmente fitti da farmi pensare che i vetri siano stati smerigliati.
Non riuscirò a pulirli mai più.

Resto sull'isola.
Dai racconti isolani immaginavo (e speravo) che accadesse più avanti, nei mesi invernali di gennaio e febbraio, quando i fenomeni meteorologici estremi sembrano più frequenti.
Ma ormai non ci sono più le mezze stagioni, signora mia, e anche se c'è ancora chi si ostina a non (voler) credere ai cambiamenti climatici, qui sull'isola mi pare ancor più evidente che il surriscaldamento globale stia sovvertendo le stagioni, le temperature e pure il mio stato d'animo.
Fa caldo come in pieno agosto, ma piove come in pieno inverno, e il vento è così forte da fare tremare le mura della casetta.
Gli ululati del vento sono così penetranti che a scuola non si riesce a sentire quel che dice la prof. e a casa devo alzare il volume della musica. Le raffiche del vento sono così violente che piegano alberi e persone, arruffano capelli e strappan via cappelli, tanto che per rientrare a casa mi sono dovuta fermare più volte in qualche angolo ridossato.

Le canne selvatiche cresciute sul bordo della strada sono piegate dal vento, tanto che i ciuffi pelosi e giallognoli arrivano a toccare terra; riscopro il piacere di ascoltare il canneto che suona al vento, anche se il rumore sordo emesso dei fusti cavi, sbatacchiati in modo così irregolare, non è poi così rilassante come quello delle campane a vento orientali, ma ricorda piuttosto quello secco e inquietante delle nacchere, come se fossero percosse in maniera furiosa da folletti del bosco dispettosi e invisibili.

Sibili, fischi e mugolii compongono la colonna sonora di questo mio fine settimana a Ponza.
Mi sento calata nel più lungo romanzo che abbia mai letto: "Un temporale che esplode sopra i tetti, i tuoni rimbalzano sulle tegole come palloni calciati dalla luna, il vento uggiola tra le imposte e strilla tra le chiome degli alberi, le travi cigolano e le voci umane si confondono nel battito martellante della grandine sui coppi e sui teloni della serra". [Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi].
C'è tutto sull'isola, manca solo la grandine.

La settimana scolastica è stata piena di impegni pomeridiani, tra consigli di classe e incontri con le colleghe di sostegno, e così recupero del tempo per me sola, facendo lunghe passeggiate di esplorazione dell'isola.
Venerdì scendo lungo una scalinata sconnessa che dalla strada principale conduce giù verso il mare, passando prima tra case bianche cinte da giardini nascosti da alte mura pure bianche, e finendo poi tra scogliere di origine vulcanica in cui sono state intagliati scalini via via sempre più stretti. 

Si arriva ad una specie di fonte naturale, una vasca ricolma di capelvenere e finocchio di mare, piantine delicate che ricoprono con un tocco di verde intenso la roccia ocra e grigia. Le scalette si interrompono sugli ultimi scogli e per raggiungere il mare è stato fissato alla parete un tirante d'acciaio, che non mi azzardo neanche ad avvicinare perché l'acqua dolce della risorgiva ha ricoperto il passaggio già impervio di uno scivoloso strato di alghe. 

Ammiro il mare dall'alto, protetta dagli spruzzi frequenti delle onde dietro una sporgenza rocciosa che affaccia su un vecchio bunker militare dell'ultima guerra: Cala dell'acqua da questa prospettiva sembra un'altra cala e resto ammirata da questo gioco di scorci incrociati - finalmente ho capito come raggiungere la scalinata interrotta che da tempo guardavo dall'altro versante della baia.
Una volta tornata sulla strada principale, provo a chiedere alla signora seduta in terrazza se la stradina ha un nome e lei mi risponde così: "Se ce l'ha, lo sanno solo le persone che ci vivono".

Sabato invece mi metto in testa di andare a fare il bagno.
Il vento è calato quel poco da quietare il mare, ma tanto Cala Gaetano che Cala Cecata, su due versanti opposti dell'isola, sono ancora imbiancate dalle onde frangenti, che si ingrossano proprio davanti agli scogli che proteggono la cala.

In realtà, Cala Gaetano della cala ha solo il nome, perché ai piedi della scalinata intagliata nella roccia, e zigzagante per 330 faticosissimi scalini irregolari, non c'è neanche un granello di sabbia, soltanto scogli ammassati alla rinfusa e lavorati dal mare e dal tempo.

Resto a godermi lo spettacolo meraviglioso e ipnotizzante del mare in burrasca, guardandomi attorno tra l'ammirato e il preoccupato perché la natura può essere tanto accogliente quanto minacciosa.
Non mi riesce di farmi il bagno, nonostante il caldo che mi avvolge non appena il sole fa capolino tra le nuvole: riproverò oggi pomeriggio, se trovo una caletta che non sia investita dalle solite raffiche, anche se per domenica è previsto un peggioramento ulteriore delle condizioni e il vento ha già ripreso a dominare l'isola, riempiendo di nuove sonorità queste mie lunghe giornate di riposo e di scoperta...

Cala Cecata di sabato mattina
La manina di Cala Cecata con i molluschi detti cornetti comuni (Osilinus turbinatus
Cala Gaetano nel sole di sabato

20 ottobre 2025

Corso di aggiornamento di tecniche e tecnici del settore marino FICT

Questo fine settimana si è svolto il primo incontro di aggiornamento di tecnici e tecniche del settore marino organizzato dalla FICT a Pedaso (Marche). 
Inizio ringraziando chi lo ha ideato, organizzato e gestito perché senza il contributo di così tante persone non sarebbe mai stato possibile vivere insieme una tale esperienza.

Sullo scivolo di alaggio di Pedaso (Marche) - scusate, ma non ricordo chi ha scattato la foto!

Sono molto contenta di essere stata coinvolta come formatrice e avevo proposto di concentrare il programma delle due giornate su alcune tematiche per me sempre molto stimolanti, specie in gruppi numerosi composti da persone preparate e motivate: insegnare ad insegnare, con particolare attenzione alle più efficaci metodologie didattiche; esercizi di equilibrio a terra ed in acqua per migliorare la capacità di conduzione del kayak da mare in totale sicurezza; giochi di coppia e di gruppo per rendere ogni manovra non solo efficace e sicura ma anche divertente; sessioni teorico-pratiche di assistenza e salvataggio, con particolare attenzione ai traini in condizione di mare formato. 
Non abbiamo avuto tempo e modo di coprire ogni argomento (alcuni spero saranno "ripescati" nel prossimo incontro perché meritano di essere ripresi e approfonditi), anche perché abbiamo iniziato l'incontro con un momento dedicato al lavoro di gruppo per raccogliere le suggestioni di tutte le persone presenti (26 in totale + 3 di assistenza in cucina!). 

Le prime foto da drone - Photo credit: Alessandro Poli

Sono state un paio d'ore molto intense che ci hanno permesso di conoscerci meglio e di evidenziare sin da subito le caratteristiche di un gruppo alquanto eterogeneo per età, genere ed esperienza in kayak, sia tecniche che didattiche.
La parola più ricorrente è stata "confronto" e così abbiamo modificato il programma per adattarlo alle nostre esigenze: abbiamo iniziato articolando il lavoro in piccoli gruppi per le sessioni teorico-pratiche del sabato, mentre la domenica, complice una giornata autunnale soleggiata, abbiamo provato a sintetizzare il programma per lavorare insieme sulle modalità di apprendimento e di insegnamento attraverso il gioco: e così gli addominali hanno lavorato più per le grandi risate che non per gli esercizi ginnici proposti.
Abbiamo anche dedicato tempo e attenzione alla restituzione dell'attività a fine giornata ed è stato molto interessante notare quanto uno stesso argomento possa essere affrontato in modo tanto variegato, approfondendo aspetti via via differenti: mi sono emozionata per la cura profusa, la profondità delle riflessioni e soprattutto l'attenzione reciproca.
Mi sono sorpresa a pensare quanto sarebbe bello organizzare incontri del genere non tutti gli anni ma piuttosto tutti i mesi!

Il gruppo al primo incontro di presentazione (chi era andato in cima alle scale?)

L'accoglienza in una struttura comune, di per sé carica di fascino e di storia, ha reso le due giornate ancora più intense e formative, perché abbiamo potuto godere non solo della reciproca compagnia ma anche di tanti momenti conviviali, durante i quali abbiamo continuato a parlare di kayak a colazione, pranzo e cena (sempre condivisa, perché abbiamo assaggiato i prodotti tipici di varie località italiane e perché abbiamo scoperto una gran quantità di belle cose a proposito di tante persone!).
Mi ha molto colpita la facilità con cui riusciamo a recuperare rapporti di amicizia rimasti sospesi nel tempo, senza che la distanza geografica influisca sull'intensità, e anche ad allacciare nuove relazioni di conoscenza e di intesa sulla base del comune interesse per il kayak d'amare!
Riporto uno dei commenti che sono fioccati nella chat, ora stracolma di foto ricordo ed emoticon "cuoriciosi": "La mia prima partecipazione a un'iniziativa della Fict è stata super positiva! Simpatia, empatia, complicità, passione, amicizia, condivisione, generosità, solidità! Ho portato tanto a casa!" (Grazie Angelo per il messaggio e grazie Alessandro per le foto dal drone!).

Gadget ricordo multicolori e auticostruiti

Chiudo con un aneddoto che rende bene il livello di fatica e di allegria con cui sto tornando a casa: stamattina sono scesa per l'ultima volta nella sala comune con la faccia ancora imbrattata di crema idratante. Mi ero scordata di spalmarla perché mentre aprivo il barattolino ho sentito un rumore sospetto di ferraglia scivolare giù per il tubo di scarico del lavandino: il mio orecchino a forma di pesciolino.
E non avevo la minima speranza di poterlo recuperare, però un tentativo lo volevo fare.
Ma solito Marco tuttofare mi guarda e mi dice: "Intanto togliti la crema dal viso e poi accompagnami a prendere la chiave inglese per smontare il collo d'oca del lavandino. E che problema c'è!"
Ed è proprio quello che meglio riassume ciò che accade ogni volta che partecipiamo ai nostri incontri di kayak: troviamo persone che con invidiabile competenza, conoscenza e abilità ci aiutano a risolvere un problema, che con la giusta dose di pazienza e comprensione trovano la maniera di restituirci serenità e fiducia, che col sorriso sulle labbra ci capiscono e sostengono, sia in acqua che a terra (e anche se ci sentiamo a terra!).
Credo che dipenda dal fatto che sappiamo di essere persone privilegiate perché possiamo condividere la stessa grande passione! Che non è solo quella per il kayak da mare, ma anche per una navigazione d'altura, non in solitaria ma in ottima compagnia!

La stella marina più bella di sempre - Photo credit: Alessandro Poli

Altre foto sulla pagina social di Alessandro Poli, che ha scattato le foto con il drone!

17 ottobre 2025

Il sostegno dell'isola - diario scombinato di un'insegnante in trasferta a Ponza 💙 #6

🧭 Giovedì 16 ottobre 2025
👣 Quinta settimana di scuola sull'isola
⭐ Bagni di sole e di sale

Martedì scorso ho fatto il bagno.
Il mare era calmo come una tavola, uno specchio argenteo così immoto che rifletteva il cielo azzurro, le nuvole rosate e persino il volo radente dei gabbiani.
Per due o tre giorni l'isola è rimasta sospesa in una calma quasi irreale.

Lungo il tragitto che mi porta a scuola, potevo assaporare il profumo dolce del pane appena sfornato, frammisto a quello più acido della bella di notte, che qui riempie in maniera spontanea i bordi della strada di folti cespugli ricolmi di fiori gialli e viola. 

L'aria era così ferma da non far svolazzare nemmeno un granello dal lavoro certosino e frenetico dello spazzino, che ramazza di buon mattino con una scopa di saggina (perché sull'isola usano ancora le scope di saggina!) i piccoli spiazzi nei pressi dei bidoni della raccolta differenziata (perché sull'isola non è ancora arrivato il sistema porta a porta!).

L'acqua aveva assunto una colorazione vivida ed invitante, illuminata dai raggi solari fino in profondità, con gradazioni difficili da definire ma che mi han fatto come sempre pensare ad un acquarello, carichi entrambi, acqua e pittura, di arte e di grazia. 

La cala che si apre proprio sotto la scuola, e che scorgo anche dalla veranda della casetta, mi è sembrata ancora più bella del solito, così seducente allo sguardo da indurmi a sperimentarla anche col resto del corpo.
Così, prima di uscire, ho afferrato al volo la piccola sacca del nuoto (costume, maschera e scarpette da scoglio) e finita la scuola mi sono regalata una doppia immersione nella bellezza e nella tradizione isolana, nuotando per un'oretta tra mare e storia.

Cala dell'acqua è una delle baie più rinomate dell'isola, frequentata durante la stagione estiva da una fitta schiera di turistə che si sistemano con teli e ombrelloni sulla stretta scogliera rimasta agibile ai piedi della vecchia miniera.
La struttura industriale ormai abbandonata, cadente e arrugginita, ha rappresentato per molto tempo un fiore all'occhiello per l'isola di Ponza, come testimoniano le maioliche commemorative disseminate lungo il percorso: negli anni ‘30 del Novecento, infatti, è stato individuato nella zona il primo ricco giacimento di bentonite in Italia, un minerale dalle molteplici applicazioni industriali che veniva trasportato con motovelieri alla raffineria di Gaeta. Sul fondo della baia, inoltre, giace il relitto del Kastell Luanda, una nave cargo impiegata proprio per il trasporto della bentonite, naufragata nel 1974 e da allora divenuta un’altra attrazione per gli appassionati di immersioni.

Freddolosa come sono sempre stata, non sapevo se bagnarmi solo i piedi o se spingermi oltre la scogliera semi sommersa, ma non ho saputo resistere al richiamo di un mare così carico di storia e di storie e mi sono lentamente immersa nella placida piscina naturale.
Ho potuto scorgere, adagiate sul basso fondale, solo alcune putrelle arrugginite del vecchio pontile e di certo il relitto sarà ben più affascinante: in rada, però, c'era la bettolina dell'acqua e non ho potuto esplorare granché i dintorni. Dovrò ritornare.

Pensavo che il nome della cala derivasse proprio dal fatto che qui attracca la nave dell'acqua ma, come spesso accade sull'isola, l'origine è ben più risalente nel tempo.
E così scopro da una veloce ricerca on-line che Cala dell’Acqua deve il suo nome alla presenza di una sorgente d’acqua dolce che, in epoca romana, alimentava un complesso sistema di acquedotti: "attraverso una rete di cunicoli scavati nella bentonite, l’acqua veniva raccolta e convogliata fino alla zona portuale dell’isola, rappresentando un capolavoro di ingegneria idraulica." (ViviPonza.com).

Pure il tramonto, quella sera, è stato indimenticabile, in tutto analogo a quello letto nel romanzo svedese che ho tenuto sul comodino in questi ultimi giorni: "Il sole era tramontato rosso incandescente un momento prima, ma aveva lasciato dietro di sé una scia di colore che bastava a tingere tutto il cielo [...] Nel frattempo l'acqua [...] si era trasformata in uno specchio nero, laggiù sotto le montagne scoscese; e su quel nero avanzavano striature di sangue rosso e d'oro splendente". [L'imperatore di Portugallia di Selma Lagerlöf]

Da ieri invece è tutto cambiato.
Il cielo s'è oscurato, una pesante foschia nasconde il Monte Guardia, il picco più alto dell'isola, e una grigia cortina di pioggia cancella dalla vista Palmarola e parte dell'orizzonte: mi sembra di essere sospesa su una delle pietre volanti di René Magritte. Il vento, che nella quiete delle ultime giornate sembrava essere stato per sempre allontanato dall'isola, ha ripreso a soffiare con tale violenza che in classe si sentono i suoi sinistri ululati, talmente forti da sovrastare spesso la spiegazione della lezione.

Il mare si tinge di un nero affatto rassicurante e comincio a temere che il traghetto potrebbe non partire: controllo gli avvisi sul sito della compagnia di navigazione ed in effetti per le condizioni meteorologiche sfavorevoli (riassunte in "condimeteo avverse") parte una nave diversa, quella che dicono essere più stabile. Ma deve essere anche molto più vecchia, perché i rumori che salgono dalla struttura non sono affatto confortanti: la nave dondola persino ora che è attraccata alla banchina principale del porto, non oso immaginare là fuori in mare aperto che sorte toccherà al vecchio scafo e a me povera passeggera imbarcata.

Mi avvicino desolata al gabbiotto per acquistare il biglietto: mi conforta un po' poter mostrare all'impiegato la mia nuova tesserina da pendolare, che dà diritto ad uno sconto considerevole sul prezzo di ogni tratta.
Magra consolazione.
Il cielo si chiude attorno al porto e nasconde sia Zannone che Gavi, il piccolo isolotto quasi attaccato all'estremità dell'isola: la pioggia è così fitta che la visuale è assai ridotta e le goccioline leggere "azzuppaviddrano", come direbbe il mai dimenticato Camilleri, fluttuano in ogni direzione e per il forte vento corrono così orizzontali da dare l'impressione che il mondo stia per capovolgersi.

Non vorrei proprio lasciare il molo, ma ho preso un giorno di permesso a scuola per partecipare ad un corso di aggiornamento sul kayak da mare della Federazione Italiana Canoa Turistica in quel di Pedaso, ridente cittadina della costiera marchigiana, e ogni spostamento dall'isola richiede almeno una giornata di viaggio: quindi, se voglio arrivare in tempo a destinazione, devo per forza affrontare oggi le tre ore di questa traversata movimentata.

Avrei voluto finire di scrivere questa paginetta di diario sul traghetto, ma non mi riesce di tenere a bada la nausea da naupatia (termine che ho appena scoperto e che nobilita questo senso di vulnerabilità che da sempre mi assale quando metto piede su un'imbarcazione che non sia un kayak da mare!).
Ricorro allora al rimedio per me infallibile e più volte testato, quello che mi mette in pace con la coscienza e mi fa dimenticare il cigolio dell'oblò sotto cui mi sono seduta e che emette su ogni cavallone uno stridore preoccupante, tipo TraTraTTra-StraTTaTTTra. Dormo. 

Mi addormento reclinata sullo zaino e anche se all'arrivo mi sveglio con un leggero torcicollo, saltello giù dal traghetto con la felicità bambina di poter finalmente toccare terra!

Cala dell'acqua in una bella giornata di sole
Cala dell'acqua in una giornata di pioggia 
La bentonite (sula sinistra) e alcune strutture (sulla destra) della vecchia miniera
La scogliera lavorata di Cala dell'acqua 
La manina di Cala dell'acqua