IL BLOG DI TATIYAK
31 agosto 2021
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30 agosto 2021
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28 agosto 2021
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Sud Italia Kayak Tour 2021: il diario da Capo Spartivento a Sant'Andrea Ionio...
Lunedì 23 agosto 2021 – 37° giorno di viaggio
Capo Spartivento – Villa Romana di Casignana: 26 km
Soleggiato – brezza decisamente a favore
E’ la giornata delle sorprese!
Ci raggiungono per pagaiare insieme alcuni amici di kayak in vacanza in Calabria: Angela, Caterina e Marco scendono col furgone fino al faro di Capo Spartivento e ci vengono incontro con i gavoni pieni di biscottini, mostaccioli col vinsanto e frutta a volontà.
Dopo i primi veloci convenevoli, procediamo di buona lena verso la prima sosta per il pranzo, che Caterina propone di consumare a tavola. La proposta è subito accolta non solo a pieni voti ma anche con grande entusiasmo. Mentre attendiamo le numerose e variegate portate di pesce, scopriamo anche che il furgone di Caterina e Marco può trasportare sia Giallina che Claudia verso casa. Cioè, non proprio verso casa: solo verso Iesi, poi le altre tappe prevedono un tragitto in treno a Latina per recuperare l’auto, poi in auto a Iesi per recuperare il kayak, poi una seconda tratta in auto a Civitavecchia per prendere il traghetto ed infine l’agognato rientro a Cagliari. Un viaggio nel viaggio!
Claudia è come al suo solito molto combattuta: da un lato le dispiace lasciarci e chiudere oggi senza alcun vero preavviso il lungo viaggio in kayak; dall’altro sono settimane che tenta di interrompere l’avventura in campeggio nautico escogitando il rientro più comodo possibile. Pensava di fermarsi a Castellammare dopo appena due settimane, poi ha provato a salutarci a Paola, dove aveva persino trovato un lido attrezzato per lasciare Giallina, poi aveva ritentato con la stazione ferroviaria di Reggio Calabria. Ma ogni sera ci ripensava e la mattina dopo riprendeva a pagaiare insieme a noi. Stavolta la proposta è troppo allettante per essere rifiutata!
E così capiamo che sarà il nostro ultimo pranzo insieme!
Dopo due ore con le gambe sotto il tavolo ed un discreta quantità di birre scolate, ci decidiamo a riprendere la navigazione. Marco torna a recuperare il furgone lasciato al faro di Capo Spartivento, mentre noi cinque procediamo in favore di vento verso la nostra meta già concordata: la spiaggia antistante la Villa Romana di Casignana, dove oltre ai vicini scavi la mappa satellitare sembra mostrare un comodo parcheggio per caricare i kayak.
Passiamo in un baleno la scogliera di Capo Bruzzato e gli scogli semi sommersi del successivo anonimo capo, gli unici della costa ionica calabrese sinora percorsa ad essere disseminati di grandi massi levigati e ricoperti da un leggero strato di alghe verdognole. Almeno rendono il fondale sabbioso un po’ più vario per qualche centinaio di metri.
Arriviamo in poco tempo anche al nostro campo per la notte.
La Villa Romana è ben visibile dalla spiaggia, protetta da ampie strutture con coperture a volta che offrono ai resti archeologici un ottimo riparo dal sole cocente di queste latitudini. Quel che non è visibile, invece, è un passaggio che conduca al margine della Statale Ionica. C’è da attraversare la ferrovia ed in questo tratto non ci sono sottopassaggi. Quando Marco arriva col furgone dobbiamo trasportare i kayak oltre il boschetto di pini e anche oltre la massicciata dei binari. Ma siamo in cinque ed in meno di un’ora è tutto caricato e sistemato a dovere. I saluti ce li scambiamo sul ciglio della statale perché non troviamo un ristorantino aperto in zona.
L’ultima sorpresa della giornata è la luna rossa che sale dal mare proprio dirimpetto ai nostri due kayak, rimasti ora da soli sulla lunga spiaggia di ciottoli e sabbia. Una spiaggia che scricchiola sotto i piedi come se sotto la sabbia ci fosse della pomice: è il luogo ideale per vincere la nostalgia dell’allegra compagnia che abbiamo appena salutato!
Martedì 24 agosto 2021 – 38° giorno di viaggio
Villa Romana di Casignana – Locri: 17 km
Caldo – mare calmo e brezza inesistente
La mattina è quasi interamente dedicata alla visita della Villa Romana.
Vado da sola perché Mauro è tutto intento a risistemare e redistribuire l’acqua e la cambusa lasciata in eredità da Claudia. Supero per l’ennesima volta i binari della ferrovia e arrivo agli scavi all’orario di apertura: ci rimango da sola per oltre due ore, immersa in un passato meraviglioso che non immaginavo potesse nascondersi in questa angolo di Calabria che da giorni brucia di incendi propagati dal mare ai monti.
La Villa Romana di Casignana è una splendida residenza risalente al IV secolo d.C. che gli scavi archeologici hanno riportato alla luce a partire dal 1964, che comprende un ampio insediamento esteso per circa 15 ettari e che continuò ad essere abitato fino al VII secolo d.C. quando la popolazione si spostò verso l’interno. Oggi è possibile visitare un’articolata struttura composta da una villa di rappresentanza, una vasta zona termale (compresa una latrina che conserva i sostegni per la seduta in legno sospesa sul canale di scarico), una serie di ambienti di servizio a supporto delle attività agricole e commerciali dell’insediamento, una necropoli ed una serie di vasche cisterna intercomunicanti per la raccolta dell’acqua piovana e sorgiva che alimentavano poi la fonte monumentale.
Il terreno in cui sono stati rinvenuti i resti archeologici è attualmente attraversato sia dalla Statale Ionica, che taglia a metà proprio alcune stanze della villa affacciata sul mare, che dalla linea ferroviaria battuta quasi esclusivamente dal nostro prediletto mono-treno diesel. Sopra le terme, inoltre, è stata costruita una casa a due piani che è stata fortunatamente espropriata e che dovrà auspicabilmente essere abbattuta perché, mi spiega gentile il guardiano, alcuni ambienti hanno “incorporato parte degli scavi”. La nota positiva è lo stato di ottima conservazione tanto degli scavi quanto dei mirabili mosaici che li impreziosiscono (oltre venti mosaici, di cui cinque figurati!) e che sono stati volutamente lasciati in situ perché rappresentano il più vasto nucleo di mosaici finora noto della Calabria romana. Sono tutti protetti da coperture a volta che consentono “di controllare i parametri microclimatici e di verificare la coerenza dei requisiti prestazionali”, come si legge sull’opuscolo che viene consegnato insieme al biglietto d’ingresso.
La villa era composta da numerose stanze e nelle varie epoche è stata anche più volte ampliata. Tutte le stanze erano rivestite di pregevoli marmi ed intonaci colorati, in alcuni punti ancora perfettamente visibili. Negli ambienti più lussuosi, inoltre, dei mosaici di tessere in pasta vitrea ricoprivano probabilmente anche il soffitto. Alcune stanze della villa e delle terme sono pavimentate con bellissimi mosaici policromi con tessere nere, versi, rosse, gialle e bianche a formare sia ricercati motivi vegetali che motivi geometrici classici con svastiche, cubi prospettici, code di pavone, quadrati intrecciati e trecce a due capi. I mosaici più famosi sono quelli della Sala delle quattro stagioni nell’ala settentrionale della villa e della Sala delle Nereidi nella zona meridionale delle terme: quattro fanciulle sedute sul dorso, rispettivamente, di un leone, un toro, un cavallo ed una tigre, tutte fiere ancora perfettamente riconoscibili e tutte caratterizzate dalla coda a tre pinne tipica dei mostri marini.
L’interesse maggiore è rappresentato dall’impianto termale, composto da due nuclei distinti ma con identiche funzioni e che ripropongono la successione tipica delle terme romane: il “frigidarium” non riscaldato, il “tepidarium” moderatamente riscaldato ed il “calidarium” riscaldato, oltre al “laconicum” fortemente riscaldato e destinato alle “essudationes”. Ogni ambiente era corredato da vasche per i bagni freddi e caldi e sono ancora visibili le bocche di forno situate al di sotto dei pavimenti che garantivano il riscaldamento delle stanze e delle vasche.
Ho scoperto così come venivano riscaldate le terme romane: non solo attraverso intercapedini ricavate sotto i pavimenti grazie all’uso sapiente di pilastrini realizzati con mattoni, ma soprattutto attraverso una serie di tubi di terracotta sovrapposti verticalmente e fissati alle pareti con grappe di ferro a forma di “T”: questi tubuli erano dotati di fori laterali che permettevano la comunicazione tra una serie e l’altra e la minima dispersione del calore tra i vari ambienti delle terme. Geniale!
Ho scattato un centinaio di foto: appena rientro a casa, cercherò di sistemarle e di contrastarle al meglio per pubblicarle a corredo del diario di viaggio perché la Villa Romana di Casignana è uno di quei luoghi magici che rendono il viaggio unico e speciale! E che riscattano una regione martoriata dagli incendi e dalle colate di cemento!
Partiamo a mezzogiorno, spostandoci da Bovalino ovest a Bovalino est.
Per la pausa pranzo scoviamo un triangolo all’ombra nel giardino di una pizzeria abbandonata: dietro passa la Statale Ionica e ancora più dietro c’è un supermercato dove acquistiamo, tra poche altre cose, un dolcissimo gelato allo yogurt greco col miele!
Ripartiamo a stento e appena avvistiamo una pineta ci fermiamo.
C’è l’ombra che ci serve per contrastare il sorgere del sole dal mare: le albe sono spettacoli meravigliosi che però accadono ogni giorni troppo presto! Montiamo la tenda sopra un letto di aghi di pino che profumano di resina: siamo un po’ troppo lontani dai kayak, rimasti in spiaggia tra una serie di gozzi colorati, ma alle nove siamo già a nanna!
Mercoledì 25 agosto 2021 – 39° giorno di viaggio
Locri – Roccella Ionica: 16 km
Caldo – mare calmo
Il risveglio è lentissimo, complice l’ombra della pineta.
Smontiamo il campo con tutta calma e poi ci trasferiamo al vicino lido per la crema di caffè di rito. Stamattina ci viene servita un po’ troppo liquida perché la macchinetta è stata appena accesa: ormai non ne troveremo più un’altra che possa competere con la crema di caffè di Castellammare di Stabia, servita con caramello, croccantino e bottoncini di cioccolato.
Riprendiamo la navigazione a mezzogiorno suonato.
La costa corre bassa e lineare, tra paesi che si susseguono senza soluzione di continuità, con case “fantasia” a 5-7-13 piani e con diversi stabilimenti balneari, stranamente tutti senza musica e senza animazione. La chiamiamo la costa del silenzio!
Le colline retrostanti sono molto scoscese ed in alcuni tratti ritroviamo i famosi calanchi bianchi. I monti sono visibili in lontananza, resi azzurrini dalla distanza e dall’umidità. Oggi per la prima volta non avvistiamo nuovi incendi, ma osserviamo da lontano gli effetti devastanti di quelli divampati nei giorni o mesi precedenti.
Lungo la costa sabbiosa si rincorrono anche diversi ormeggi di natanti che sembrano per lo più improvvisati, solo qualche boa fissata qua e là con dei pesi perfettamente visibili sul fondale sabbioso. Si incontrano per lo più sui capi, che lungo la costa ionica della Calabria non sono dei veri e propri capi, ma piuttosto delle piccole punte appena pronunciate e protese di poco verso il mare aperto. Deve essere un mare aperto ma cortese, questo mare calabrese, per consentire ai pescatori e ai diportisti di fidarsi ad ancorare le loro barche a questi ormeggi non protetti. Ma devono essere comunque affidabili, visto che da Reggio Calabria a Locri abbiamo avvistato soltanto due relitti spiaggiati, di una barca a vela col boma danneggiato e di un trimarano con le braccia di un galleggiante laterale completamente distrutte.
L’acqua del mare è sempre di un verde invitante, trasparente e brillante. E’ un mare pulito, senza plastica o scarichi: si vedono le ondulazioni del fondale sabbioso, di tanto in tanto ricoperto da praterie di Posidonia oceanica. In alcuni punti invece la profondità aumenta fino ad oltre duecento metri ed il verde lascia il posto ad un blu intenso, altrettanto attraente e seducente.
Tagliamo al largo per ammirare meglio il paesaggio!
Un bel pesce spada di un paio di metri salta fuori all’improvviso, a meno di tre kayak di distanza dai nostri, mostrandoci orgoglioso sia la spada che la pinna dorsale: speriamo sia stato spaventato dalle nostre ombre, perché se invece si è trattato di un altro predatore non osiamo neanche immaginare le sue dimensioni!
Ci sono giornate in cui pagaiamo leggeri e veloci. Altre in cui ci sentiamo stanchi e vecchi. I kayak sembrano pesanti, l’acqua dura, l’aria calda, il sole cocente, il paesaggio immobile: oggi tutto ci fa fare più fatica.
Così quando avvistiamo il boschetto più folto della costa ci fermiamo.
Se Claudia per caso ancora si chiede se fosse lei a rallentarci nel nostro giro in kayak, forse adesso può rispondersi serenamente che no, non era certo lei: siamo noi ad essere lenti, lentini, lentissimi!
Ma stavolta facciamo proprio bene. Non è una pineta ma un bosco di eucaliptus, altrettanto profumati. Un ragazzo bolognese curioso e gentile si avvicina per chiederci del viaggio e dopo le solite domande ci stupisce con un’offerta insolita: pizza e prosecco! Accettiamo contenti!
La cosa più bella è il vicino campeggio YMCA (Young Men’s Christian Association) dell’associazione cristiana ecumenica nella sua unica sede italiana: non avremmo mai immaginato di trovare una simile realtà nel nostro paese e subito Marina, una signora allegra e ciarliera, ci spiega che pur mantenendo il nome si è presto evoluta in un’associazione multi-confessionale con una forte vocazione alla coesistenza tra cristiani, ortodossi, protestanti, ebrei, islamici e persino atei e agnostici. Il luogo è talmente accogliente, e rustico come piace a noi, da convincerci subito a restare a cena con i suoi pochi ospiti rimasti! E a tirar tardi a chiacchierare e a ridere con gli otto bambini delle due coppie ancora in campeggio nei bungalow colorati sotto gli alberi: le due sorelle romane hanno quattro figli a testa, una quattro femmine e l’altra quattro maschi, tutti attenti ai nostri racconti sul kayak e tutti molto educati, silenziosi ed allegri. Quando cominciano a sbadigliare, orami a buoi fatto, capiamo che anche per noi è arrivata l’ora della ritirata.
Giovedì 26 agosto 2021 – 40° giorno di viaggio
Roccella Ionica – Faro di Monasterace: 26 km
Pioggia e vento – mare da calmo a poco mosso
La notte è stata più animata del previsto.
Prima degli inaspettati fuochi d’artificio, poi della musica italiana lontana ma perfettamente udibile nel silenzio generale della notte in campeggio, poi ancora un convoglio ferroviario illuminato a giorno con gru e benna al seguito. Siccome il boschetto di eucaliptus confina proprio con i binari, il risveglio di soprassalto alle due di notte mi fa temere di ritrovarmi il treno in tenda. Ci ho messo un po’ a razionalizzare e a riaddormentarmi.
Fortuna che l’alba è avvolta dalle nuvole e che l’ombra avvolge la tenda quando un timido sole si decide a fare capolino tra un groppo e l’altro. Un temporale si preannuncia sulle alture dell’entroterra ed un altro sembra essersi già annunciato sui pinnacoli rocciosi della vicina Roccella Ionica.
Noi torniamo al campeggio YMCA per la prima colazione: caffè latte con pane e marmellata. Come ai vecchi tempi! E anche i discorsi tornano ad essere quelli di un tempo, sui figli ormai nonni dei fiori, sui viaggi per l’Europa in autostop, sulle discussioni politiche e via andando.
Quando il temporale sembra ormai dissolto ed il vento finalmente calato, ci decidiamo a tornare ai kayak, ad indossare giubbotto e paraspruzzi e a riprendere a pagaiare. Passiamo sotto gli spalti del campeggio, un po’ sopraelevato rispetto al livello del mare: tutti i bambini ed i rispettivi genitori sono in prima fila con le braccia al cielo per salutare questi due strani viandanti del mare conosciuti per caso una sera a cena.
A Roccella Ionica facciamo una sosta tecnica per comprare le sigarette di Mauro. E per godere da vicino della vista panoramica sulle sue torri arroccate sulle guglie rocciose del vecchio centro storico.
Aspettiamo che le previsioni meteorologiche si annuncino: il vento di Ostro delle due del pomeriggio che poi rinforza a Libeccio verso le cinque. Entrambi fanno al caso nostro perché ci accompagnano nella nostra rotta odierna, rendendo la giornata un po’ più animata rispetto a quella calma e piatta di ieri. E’ bello quando possiamo sfruttare il vento a favore, ancor di più quando le ondine crestate di bianco che si rincorrono in mare ci permettono di concentrarci sulla navigazione. Il tempo passa e la costa scorre accanto.
Prima costeggiamo Riace, dove facciamo un’altra sosta tecnica per sgranocchiare un fruttino di mele cotogne del Mammut, mentre gioco a realizzare un’altra delle mie manine di ciottoli levigati: stavolta sono molto particolari, tra i più curiosi dell’intero viaggio, tutti scuri e maculati di macchie tonde e regolari ancora più scure, quasi fossero stati lavorati.
Poi ci allunghiamo oltre il litorale basso e sabbioso di questo tratto di costa ionica calabrese: un susseguirsi di lunghi spiaggioni deserti, con qualche gazebo di legno e paglia costruito qua e la a distanze regolari, ma oggi tutti privi di bagnanti per via del cielo scuro e carico di pioggia; non ci sono quasi lidi attrezzati e anche quei pochi che incrociamo sono votati al silenzio, quasi un tacito accordo per sintonizzarsi sulla modalità grigia e cupa della giornata; ci sono invece una serie di campi coltivati poco oltre le solite casette sparse sulla spiaggia, costrette tra la statale e la ferrovia, ed incredibilmente vasti uliveti che ricoprono intere colline. Ovunque i segni degli incendi delle settimane passate e ancora in acqua i residui delle ceneri. Non sarà facile dimenticare quest’estate di fuoco!
Infine raggiungiamo la nostra meta odierna: Monasterace.
Il paese è famoso per il suo bellissimo faro tozzo e squadrato a fasce orizzontali bianche e nere: si staglia subito oltre l’anonimo abitato della marina, ma molto più rientrato rispetto alle casette basse ed irregolari del lungomare. Il faro se ne sta appollaiato su una collinetta rientrata, come ad osservare dall’alto non solo la lunga spiaggia di sabbia e ciottoli che si stende ai suoi piedi ma anche un’altra delle numerose meraviglie archeologiche calabresi. Il faro sovrasta infatti i resti archeologici del tempio dorico di Kaulon, risalenti al V secolo a.C., i cui scavi hanno portato alla luce dei mirabili mosaici di rivestimento di una vasca termale che ritraggono delfini e draghi, tutti con le “solite” code a tre punte tipiche dei mostri marini.
Sbarchiamo ai piedi del faro e per prima cosa, dopo aver tirato i kayak in secca, mi precipito agli scavi perché la luce che filtra tra le nuvole sembra la migliore per scattare alcune foto tanto al sito che al nostro campo. La statua di Diomede è di una bellezza folgorante, non solo perché si affaccia sul mare dal terrapieno degli scavi, ma anche perché la straordinaria fattura delle trecce che avvolgono il grande complesso scultoreo rendono a pieno l’idea del labirinto in cui ci si può perdere (ed in cui il Minotauro ancora cucciolo si racchiude – sull’altro versante della scultura che si apre proprio sul mare!)
Le stelle riempiono il cielo proprio quando i tre lampi regolari del faro iniziano a roteare sulle nostre teste: riconosciamo varie costellazioni a cui siamo da sempre affezionati, la Croce del Nord ed il Delfino, l’Aquila e il Serpente, l’Orsa Maggiore e Cassiopea, e proprio sulla nostra tenda la luminosa Stella Polare! E’ una notte magica che ci fa stare per un bel po’ di tempo con il naso all’insù.
Venerdì 27 agosto 2021 – 41° giorno di viaggio
Faro di Monasterace – Sant’Andrea Ionio Marina: 21 km
Pioggia e vento – mare poco mosso
Nella notte ci sorprende la pioggia. Avevamo controllato le previsioni meteo e tutti e tre i nostri siti di riferimento non annunciavano la pioggia. Invece alle due di notte una nuvola di passaggio più dispettosa delle altre ha scaricato il suo contenuto liquido giusto sopra di noi. Mauro si è alzato per attrezzare il telo esterno e, come sempre succede in questi casi, non appena lui finisce di sistemare ogni cosa, anche la pioggia finisce di cadere!
Al mattino siamo un po’ stropicciati ma alle nove in punto io mi avvio al museo. Uno sterrato corre lungo gli scavi archeologici di Kaulon già visitati ieri sera e attraversa alcuni campi coltivati fino al sottopassaggio della ferrovia. Poco oltre si apre il bel giardino pieno di reperti del Museo Archeologico di Monasterace. Il biglietto si acquista solo on-line dall’inizio della pandemia e all’ingresso l’unica guida mi chiede il “green pass”, obbligatorio dal 6 agosto per le visite museali: tiro fuori dal portafoglio la mia copia cartacea, un po’ troppo spiegazzata, e mi sento dire che purtroppo non è leggibile. Per un attimo mi sento mancare ma l’attimo successivo mi ricordo di averne conservata una foto nel cellulare: gliela porgo e subito scatta la spunta verde dell’accesso consentito. La tecnologia amica mi fa apprezzare ancora di più il primo utilizzo del “green pass”. E questa non è certo l’unica emozione della mattinata.
Il museo infatti è ricco di reperti archeologici rinvenuti sul sito dell’antica città greca di Kaulon, dotata di un centro abitato, di un tempio dorico, di un complesso termale, di una necropoli in collina, di un porto canale nel fiume che scorre accanto e forse anche di un luogo di approvvigionamento della pietra che oggi risulta sommerso, visto che la costa si è ritratta per oltre 350 metri. Poco al largo del faro, infatti, due boe gialle segnalano l’area speciale degli scavi sommersi di Kaulon, dove sono stati rinvenute colonne, capitelli ed ancore, ed altre meraviglie ora conservate nelle numerose teche del museo. Ci sono anfore e brocche, vasi per oli e profumi, specchi in bronzo e statuette miniaturizzate, coppe e piatti votivi in terracotta, monili e oggetti di uso quotidiano, oltre a molte decorazioni del tempio e delle terme: tra tutte spicca naturalmente il mosaico del drago marino che, insieme agli altri mosaici di draghi e delfini ancora in loco, abbelliva la sala centrale delle terme.
Ma quello che mi attira di più, e che è diventato il simbolo del museo, è il gruppo di “kadoi” recuperati da pescatori locali nel tratto di mare antistante il tempio dorico di Kaulon: si tratta di grandi contenitori per il trasporto a fini commerciali della pece, l’oro nero dell’antichità. I Greci per primi avevano sfruttato la “risorsa boschiva della pece della Sila”, come si legge sulla didascalia, e la usavano per uso farmaceutico (trattamento di infiammazioni o contusioni), medico (cura di ferite e fratture), cosmetico (ad esempio per la depilazione), per impregnare le torce e per impermeabilizzare le pareti interne dei grandi contenitori per il trasporto delle derrate alimentari (olio, vino, pesce e carni salate), oltre che per il calafataggio degli scafi in legno della flotta mercantile, che assicurava così l’egemonia dei traffici marini ed il controllo del Mar Mediterraneo. I “kadoi” esposti erano parte del carico di una nave in partenza dal porto di Kaulon e diretta verso la Puglia, se non più lontano verso l’Oriente: la permanenza subacquea ha garantito l’eccezionale conservazione della pece, compattata e sigillata dalla terra, ancora allo stato solido come all’epoca veniva trasportata, per poi essere riportata allo stato semiliquido tramite riscaldamento, tanto che allo scopo le pareti interne dei “kadoi” erano rivestite di uno strato di argilla cruda ancora visibile.
Come al mio solito, trascorro un paio d’ore a leggere i cartelli esplicativi e a scattare centinaia di fotografie. Mi rammarico solo per la chiusura del bookshop a causa della pandemia ma mi rallegro della scoperta che gli scavi tutt’ora in corso sono aperti al pubblico in via del tutto eccezionale soltanto fino al 31 agosto!
Quando torno ai kayak è quasi mezzogiorno e Mauro freme per ripartire: nel frattempo si è dedicato ad alcune delle necessarie riparazioni e manutenzioni dell’attrezzatura di viaggio, che quest’estate sembra più provata del solito.
La brezza che spira da sud ci sospinge dolcemente verso nord. Oggi la nostra direzione è esattamente il nord, quindi le prime pagaiate sono agili e veloci. Arriviamo alla pausa pranzo delle due di pomeriggio con buona parte del tragitto giornaliero già coperto e ci ripariamo dalla pioggia sotto uno dei gazebo di legno e paglia che anche oggi incontriamo sulla spiaggia. Ce ne stiamo lì sotto anche quando rispunta il sole e dal nostro quadratino d’ombra osserviamo il mare: per una mezz’ora si imbianca di frangenti ravvicinati e nervosi perché il vento è girato e ha completamente cambiata direzione. Ora soffia più forte e deciso da nord, anche se non ci mettiamo molto a capire che si tratta solo delle prime raffiche dell’annunciato vento da ovest, che si incanala nelle vallate dell’entroterra e che nel raggiungere il mare si allarga a ventaglio lungo la costa bassa e sabbiosa. Ci ricordiamo di un fenomeno analogo nel nostro viaggio a Creta e adottiamo la stessa tattica: pagaiamo vicini alla costa per risalire il vento fino a circa metà del golfo e poi approfittiamo del vento a favore per raggiungere l’altro capo. Qui i capi sono sempre poco pronunciati ma gli effetti sul vento sono identici.
Passiamo così d’infilata il porto di Badolato, ma appena oltre la sua luce rossa ci accorgiamo che anche questo è completamente insabbiato e invece di barche all’ormeggio al suo interno ci sono ombrelloni piantati al suo ingresso. Il resto del pomeriggio ci offre la solita visuale su una costa lineare con lunghe spiagge di sabbia e ciottoli. Ogni tanto si incontra qualche lido attrezzato e oggi ce ne toccano due tra i più rumorosi ed animati di giochi acquatici dell’intera costa calabrese. All’interno le colline basse sono curate e coltivate, nelle vallate sono stati impiantati nuovi filari di ulivi, e nei punti più panoramici sorgono vecchi paesini in pietra.
Non appena avvistiamo la pineta che incorona la spiaggia bianca di Sant’Andrea Ionio decidiamo di sbarcare, anche se è non sono neanche le sei del pomeriggio. Scendiamo coi kayak poco oltre un nido di tartaruga Caretta caretta, anche questo come gli altri già intravisti lungo la costa protetto da un lungo corridoio di tela oscurante. Sono molti i ragazzi in pellegrinaggio che sul fare della sera si raccolgono intorno al nido: poco dopo arrivano anche i volontari del WWF che sistemano la griglia messa a protezione del nido, spianano la sabbia verso la battigia e si sistemano con gli altri in attesa delle schiusa delle uova. Chissà se stanotte usciranno dei piccoli, come forse è capitato la notte precedente perché ancora si intravedono alcune piccole impronte sulla sabbia intorno alla fossetta del nido. Noi intanto ci infiliamo in tenda: magari avremo la forza di passare a controllare più tardi…
Stanotte dormiamo in un bellissimo boschetto di acacie sulla duna proprio oltre la spiaggia. Poco più in là, oltre un canale di rovi e di canne si affollano eucaliptus, tamerici e tantissimi pioppi. Il bosco è andato a fuoco qualche tempo fa e si riconoscono gli evidenti segni del passaggio delle fiamme sia sui tronchi degli alberi che sul terreno ancora annerito poco sotto il manto di sabbia e foglie. E’ davvero incredibile la capacità di rinascita della Natura, la resilienza della piante da cui avremmo molto da imparare. I semi secchi delle acacie formano un letto morbido e scricchiolante su cui adagiamo materassini e sacchi a pelo. E’ una notte rumorosa, sia per il crepitio del fogliame che per le attività notturne degli altri abitanti del bosco rinato a nuova vita: si sentono vicini e lontani rami spezzati, foglie smosse, corse disperate e anche qualche salto tra le fronde proprio sopra la nostra tenda. Poi invece cala il silenzio. E la notte è la più bella, profumata, silenziosa, lunga e indimenticabile di tutto il viaggio!
27 agosto 2021
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25 agosto 2021
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24 agosto 2021
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23 agosto 2021
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22 agosto 2021
Sud Italia Kayak Tour 2021: il diario da Taureana a Capo Spartivento...
Mercoledì 18 agosto 2021 – 32° giorno di viaggio
Taureana – Cala Janculla a nord di Bagnara Calabra: 13 km
Sereno variabile – vento da NW in attenuazione nel pomeriggio
E infatti le onde ci atterrano.
Prima di ritirarci in tenda abbiamo tirato i kayak ancora più in secca, visto che la spiaggia si era accorciata di una decina di metri sotto l’attacco dei frangenti. Stamattina il mare lentamente si ritira. Molto lentamente.
Noi facciamo le nostre cose con la solita lentezza: ci svegliamo, ci stiracchiamo, ci sediamo a chiacchierare, poi a fare colazione, a smontare il campo e a riporre le sacche nei gavoni. Tutto molto lentamente.
Non sapendo se riusciamo o meno a ripartire, ci mettiamo anche alla ricerca di una fonte di acqua dolce, che troviamo nel giardino di una della casette costruite sulla spiaggia.
L’impegno più pressante e ricorrente, però, è guardare le onde.Le guardiamo da vicino, quando proviamo a lavarci la faccia per toglierci dagli occhi la pesantezza del lungo sonno notturno. Le guardiamo da lontano, seduti all’ombra delle due tamerici che ci hanno protetto dal vento ieri sera e dal sole cocente stamattina. Le guardiamo dal basso, mentre scattiamo qualche foto ricordo, e le guardiamo dall’alto, mentre ci arrampichiamo sulla duna per osservare lo stato del mare più al largo.
Fuori sembra tutto tranquillo, con le solite navi porta-container che incrociano in ogni direzione o che attendono all’ancora il proprio turno per entrare al porto di Gioia Tauro. Solo a riva le onde si gonfiano e giocano tra loro ad inseguirsi, una cresta bianca dopo l’altra. Si è formata una vasta secca che fa aumentare l’altezza media delle onde fino a due metri ed il fragore che si scatena sulla battigia ad ogni ricciolo è sempre più inquietante. E anche il colore dell’acqua è cambiato, da un blu scuro è diventato un verde chiaro ed è netta la linea di demarcazione tra la sabbia smossa in sospensione ed i fondali più lontani e profondi.
Le previsioni dicono che alle undici il vento cala. Le onde presto o tardi smetteranno di impensierirci. Continuiamo a guardarle fino all’ora di pranzo. Quando finalmente si attenua l’effetto del vento, anche le onde calano e ci lasciano spazio, tempo e modo di riprendere il mare.
Lanciamo in acqua Claudia sul suo kayak giallo sole, la prima ad essere pronta per la nuova giornata di navigazione. Poi insieme a Mauro lanciamo in mare anche il mio kayak, che Claudia affianca ed ormeggia. Poi Mauro si siede nel suo Voyager, si chiude il paraspruzzi e con me alla sua prua aspetta il momento adatto per farsi aiutare a prendere il mare. L’espressione “prendere” è proprio la più adatta: bisogna calcolare bene i tempi per capire quando è meglio agganciare l’onda per superare lo scalino d’acqua, il fatidico dumping che ancora non si è completamente placato. Io raggiungo a nuoto il mio kayak e Mauro mi restituisce la cortesia di averlo aiutato con una spinta offrendomi un sostegno per la risalita assistita. Sono ottime occasioni di allenamento, queste intemperanze del mare!
Una volta al largo, ammiriamo il breve tratto di costa lungo cui pagaiamo per raggiungere il piccolo porticciolo turistico di Taureana, nascosto dietro uno scoglio solitario ed una imponente muraglia di tetrapodi, ai piedi di una bella torre di avvistamento che forse ha dato il nome al luogo. Sappiamo che nel porto c’è una scivolo. Non sappiamo che è di legno, in pessime condizioni ma perfetto per le nostre esigenze: sbarcare per fare rifornimento di acqua e viveri. Il gestore del centro subacqueo proprietario dello scivolo è molto gentile: ci regala una bottiglia di acqua fresca e delle utili informazioni sul più vicino alimentari. Che raggiungiamo sotto il sole cocente ma dal quale ritorniamo in auto: chiediamo ed otteniamo un passaggio da due giovani milanesi di origini calabresi che ci lasciano vicino ai kayak. Le assi di legno dello scivolo scricchiolano che sembra una sinfonia, ma sono ideali sia per stivare nei gavoni le nuove leccornie che per alare i kayak in acqua: scivolano molto facilmente verso nuove avventure.
Le poche ore di luce che ci restano del tardo pomeriggio ci regalano un tratto di costa tra i più belli del viaggio.
Da Taureana a Bagnara Calabra è un susseguirsi di alti pareti rocciose ricoperte di macchia mediterranea, senza neanche l’ombra di una casa abusiva o di un paese, salvo il piccolo agglomerato del borghetto marinaro di Marinella di Palmi che sembra proprio un paesino da cartolina. Qualche grotta, qualche piccolo faraglione, qualche scoglio semi-sommerso. E la ferrovia che corre a mezza costa e che proprio in questo punto ha una delle stazioni più belle d’Italia, giusto una fermata affacciata sul mare!
Subito oltre si apre la cala dei nostri sogni. Uno scoglio a forma di gigantesco topolino di campagna occupa il centro della baietta, i ciottolini policromi sono meno levigati del solito, la sabbia della parte alta della spiaggia è ancora calda. Sbarchiamo poco prima del tramonto, quando ormai stanno ritirando le ancore gli ultimi due gommoni di turisti un po’ brilli che avevano scelto la cala per la giornata al mare. Noi invece la scegliamo per la notte. La migliore di tutto il viaggio: silenziosa, buia e tutta per noi.
Giovedì 19 agosto 2021 – 33° giorno di viaggio
Cala Janculla – Catona a nord di Reggio Calabria: 30 km
Sereno variabile – brezza da NW in attenuazione in serata
Oggi è il fatidico giorno della traversata dello Stretto di Messina.
A colazione ricontrolliamo le tabelle di marea: la stanca è alle undici, quando saremo in navigazione verso Scilla, il picco della marea discendente è tra le due e le tre del pomeriggio, quando speriamo di essere già oltre l’ingresso dello Stretto.
Ci svegliamo presto e presto ci prepariamo. Saremmo pronti con largo anticipo e anche con un’insolita velocità rispetto alle nostre medie molli da vacanzieri incalliti. E invece l’imprevisto è in agguato: a Claudia resta in mano la ghiera rossa della pompa di sentina di Giallina, che ormai sembra perdere pezzi ad ogni nuova giornata di viaggio. Mauro impiega quasi un’ora per smontare e rimontare, per nastrare e sigillare, per controllare e ricontrollare. Partiamo quasi allo scadere dell’ora X.
Ma siamo ancora in perfetto orario e puntiamo decisi verso Scilla.
Tagliamo un poco al largo Bagnara Calabra perché già il porto sembra un’opera d’arte dedicata alla cementificazione selvaggia della costa, con una strada rialzata su piloni di cemento armato che scende vertiginosamente in mare dalle ragguardevoli altezze di una piccola rupe su cui ancora campeggia una bella torre di avvistamento. Come se non bastasse, alle spalle del paese hanno tagliato la montagna per costruire la indispensabile autostrada, realizzando nella vallata più ampia un cavalcavia che grida vendetta, con tre piloni altissimi ai lati e altri due obliqui a sostenere la campata centrale. Almeno quello della vallata successiva è più discreto, con due soli piloni ed una serie di tiranti che visti dal mare somigliano a due grandi vele. Certo, non c’è la minima uniformità architettonica, ma almeno questo sembra rovinare meno il panorama di Bagnara Calabra.
Scilla invece è il più bel borgo marinaro del nostro viaggio.
Capiamo subito perché viene chiamata la Venezia calabra.
Per prima appare la fortezza di pietra e mura ciclopiche che ricopre l’intera sommità del piccolo promontorio proteso verso lo Stretto. Poi si annuncia il paese a mezza costa, raggiunto da un cavalcavia di uscita dell’autostrada che però qui è nascosto da piante e rampicanti. Infine le case costruite sul mare mostrano a chi dal mare arriva balconi gittanti e finestre fiorite e terrazze luminose e torrette rossastre e tanti portoni sull’acqua ad ospitare gozzi ed ombrelloni, tutti colorati degli stessi colori.
Proviamo a sbarcare sullo scivolo al centro del paesino ma oltre ad essere ricolmo di gozzi blu è anche ricoperto di un sottile strato di alghe verdi che renderebbero le operazioni oltre modo scivolose. Ripieghiamo nel porticciolo, dove c’è un altro scivolo altrettanto ricolmo di gozzi blu, colore imperante in paese, ma dove almeno lo sbarco sembra agevolato da una serie di scogli semisommersi. La pausa è veloce, giusto il tempo di una barretta energetica, la cotognata fatta in casa dal Mammut, qualche fotografia ai vicoletti vicini e ai gozzi che circondano i nostri tre kayak, scomparsi nell’ombra di queste nobili imbarcazioni locali.
Non possiamo mancare l’appuntamento con la marea.
Ci rimettiamo in navigazione e con una straordinaria media di 4 nodi imbocchiamo lo Stretto di Messina. Passiamo il faro di Scilla, il vecchio traliccio arroccato sulla collina ed in un attimo siamo al capo di Villa San Giovanni.
Entra insieme a noi una prima portacontainer carica fino all’inverosimile ed era già uscita una imponente nave da crociera affiancata dalla pilotina per recuperare il pilota. Entrano con noi anche una serie di motoscafi di vari dimensioni e velocità ed esce un rimorchiatore che traina un natante dalla forma più strana mai vista sinora, che a noi ricorda lo scoglio-topo di Cala Janculla. Poi iniziamo a vedere i primi traghetti che fanno la spola tra le due sponde dello stretto, la calabrese e la siciliana, tutti posti di traverso per compensare la corrente. E poi scorgiamo anche i famosi gorghi del canale, generati dalle correnti di marea che nel braccio più stretto diventano davvero giganteschi ed ingovernabili. Nel vedere le ondine bianche della corrente, come di un fiume che sfocia in mare, Claudia esclama “Oh, non vorrei proprio essere lì in mezzo”, mentre io ripenso ai miei trascorsi nelle tidal races di Anglesey e invece si che mi piacerebbe stare proprio lì in mezzo!
Solo che non si può! C’è un tale traffico che non si può!
Ed il bello deve ancora venire: il porto di Villa San Giovanni ha ben quattro banchine di ormeggio dei traghetti e ben quattro luci verdi sulla testa di ogni molo. Arrivando come noi da nord si attraversa per primo il tranquillo porticciolo turistico, dal quale escono a gran velocità solo due motoscafi che avvistiamo da lontano e da lontano evitiamo. E’ poi la volta degli altri tre porti, ognuno occupato da un traghetto in sosta per il tempo strettamente necessario allo scarico di auto e passeggeri e al carico di altre auto e altri passeggeri. Quando uno parte, un altro è già in arrivo. E’ un via vai continuo tra le due sponde dello Stretto. E noi siamo in mezzo.
La nostra strategia è sempre la stessa: aspettare. Aspettiamo che il traghetto del primo molo parta per conquistare la luce verde. Poi aspettiamo che esca anche il secondo e ci portiamo sotto la luce verde successiva. Poi entra un traghetto più grande degli altri, ma ci passa alle spalle perché va ad occupare la prima banchina. Cerchiamo di capire cosa voglia fare il traghetto verde Trinacria, immobile davanti all’ultimo molo. Allora lasciamo andare l’ultimo traghetto ancora in porto e poi scegliamo di attraversare l’ultimo canale.
Proprio quando pensiamo di essere in salvo sotto l’ultima della quattro luci verdi ecco che capitano tre cose impreviste: il Trinacria si muove e si avvicina al nostro molo, un aliscafo compare dal nulla proprio dietro al Trinacria, che è talmente vicino da oscurare tutta la visuale, e sembra voler entrare proprio nello stesso molo davanti al quale noi stiamo pagaiando. Dulcis in fundo, la corrente che si forma sotto la diga foranea della nostra salvezza è esattamente contraria alla nostra rotta (per uno dei riccioli di ritorno che caratterizzano l’intero stretto!) ed è talmente forte che, sebbene cerchiamo di “bucarla” alla nostra massima velocità, riesce in un attimo a “sputarci” fuori rotta un po' troppo lontani dal porto!
“Meno male che ho gli occhiali scuri” mormora Claudia emozionata.
La pagaiata decisa ci riporta in pochi minuti in una zona sicura e deserta: i due pescatori sul molo che avevano ritirato le lenze non tanto per lasciarci passare in liberta quanto per capire cosa diavolo stessimo combinando, riprendono pigramente a pescare. E noi riprendiamo pigramente a pagaiare nello Stretto. Siamo salvi!
Siamo anche contro corrente, adesso: non perché sia cambiata la direzione, che resta tale fino alle sei del pomeriggio, ma perché siamo entrati in un’ampia ansa del canale in cui la corrente ricircola e crea corrente contraria e gorghi inaspettati. Che ci accompagnano fino allo sbarco, oltre la foce del fiume ed il litorale attrezzato del paesino di Catona. Sembrano volerci salutare, i gorghi: così vicini e così innocui. Ormai siamo a terra. Sani e salvi.
Festeggiamo con una cena improvvisata allestita sul copri-pozzetto del Voyager di Mauro. Siamo stanchi ma felici. Non aspettiamo gli orari canonici, né per cenare né per dormire. Una giornata così intensa può anche finire prima del previsto. Appena il sole tramonta dietro le colline siciliane, noi crolliamo in tenda!
Venerdì 20 agosto 2021 – 34° giorno di viaggio
Catona – Pellaro a sud di Reggio Calabria: 19 km
Sereno – vento da SE sempre contrario
Oggi gli eventi sono allineati ai nostri tempi.
La stanca di marea arriva a mezzogiorno e noi fino a mezzogiorno non facciamo quasi niente, tranne provare, senza riuscirci, a fare un bagno nell’acqua diventata all’improvviso gelidissima di questa parte dello Stretto.
La notte è stata tribolata, con un primo intermezzo musicale del karaoke più stonato del Mediterraneo, con un secondo intermezzo rumoroso di un motociclista in libertà sulla battigia e con tutta una serie di fuochi d’artificio, andirivieni di gozzi a pesca, luminarie di navi in transito.
Al mattino Claudia si mette in cerca di cornetti e crema di caffè e ce li porta in spiaggia per la seconda colazione.
Il resto della giornata scorre tranquillo, come la corrente nello stretto.
Noi “circolettiamo”, come già avevamo fatto per passare sull’altro versante durante la circumnavigazione della Sicilia. In quell’occasione l’avevamo chiamata “navigazione a ricciolo”. Siccome la corrente ricircola nelle anse più pronunciate e da contraria diventa favorevole, noi approfittiamo delle più piccole insenature per cercare anche la minima spinta.
E così raggiungiamo con facilità la città di Reggio Calabria.
La periferia vista dal mare lascia a desiderare, specie oltre il porto che passiamo senza quasi badare all’unico traghetto attraccato al molo: una passeggiata, in confronto al tetra-porto di Villa San Giovanni! Poi però il lungomare del capoluogo mostra tutto il suo splendore anche a chi arriva dal mare: una lunga passeggiata attrezzata corre sulla spiaggia e la strada litoranea è stata costruita proprio sopra la linea ferroviaria. Alberi secolari ovunque e opere d’arte ad abbellire i giardini ben curati.
Noi sbarchiamo strategicamente vicino al bistrot sulla spiaggia.
E ci restiamo per un paio d’ore, tra un birra e l’altra.
Poi riprendiamo a “circolettare” fino al cambio della marea.
Il resto della costa prospiciente la città di Reggio Calabria non offre un grande spettacolo, perché la stazione ferroviaria prima ed il depuratore cittadino dopo espandono nell’aria rumori ed odori poco invitanti.
Sbarchiamo dopo qualche ora e qualche ricerca affannosa in un piccolo porticciolo ricavato tra due barriere frangiflutti, costruite per riparare alcune casette affacciate troppo in riva al mare.
La serata sarebbe solitaria e tranquilla se non fosse per un simpatico e curioso ragazzo del posto, pescatore per passione, che ci racconta una serie di aneddoti sulle barche da pesca professionale e che poi ci sommerge di domande sul viaggio e sul campeggio nautico.
Nel nostro porticciolo privato non arriva neanche un’onda di risacca: durante la cena le acque si ritirano per la bassa marea e la luna sorge quasi piena da sopra i terrazzi delle case vicine.
I fuochi d’artificio ci danno la buona notte.
Speriamo di dormire senza altre interruzioni.
Sabato 21 agosto 2021 – 35° giorno di viaggio
Pellaro a sud di Reggio Calabria – Marina di San Lorenzo: 30 km
Sereno – brezza da NW al mattino e poi da SE al pomeriggio
Abbiamo dormito bene ma poco.
Usciamo dal porticciolo privato appena si alzano le prime crestine bianche gonfiate dal vento, che per la mattinata soffia nella nostra stessa direzione.
Sul capo di Pellaro ci sono decine di kite-surf in allenamento, ma corrono tutti più al largo e per noi pagaiare vicino alla riva si rivela la scelta migliore. Una ragazza alle prime armi perde la tavola e quando sto per recuperarla l’istruttore mi fa segno di lascarla lì a galleggiare, spiega all’allieva tutta orecchi come ritornare sul posto e poi ci urla un grande ringraziamento. E buon vento a tutti.
Proseguiamo di gran carriera, sfiorando ancora i 4 nodi che ieri erano favoriti dalla corrente e che oggi sono invece generati dal vento. Il kayak ci permette di sfruttare tanto la forza del vento quando la forza del mare e saper dosare e combinare le cose è una della esperienze più interessanti che si possano fare durante il viaggio.
La costa è ricoperta di casette sparse, costruite proprio sulla spiaggia negli stili architettonici più disparati: ci divertiamo a paragonarli, alla lontana, allo stile messicano quando sono intonacate color mattone e hanno piante grasse ad abbellire i giardini curati, allo stile arabo quando hanno verande con archi a sesto acuto, allo stile greco quando hanno finestre e balconate in legno dipinte di azzurro, allo stile maltese quando mostrano un’unica stanza affacciata sul mare ed il resto della costruzione che si allunga stretta stretta sul retro, allo stile albanese quando sono fatte di aggiunte posticce e del tutto diverse tra loro… Insomma, non proprio una costa da fotografare o ricordare.
Doppiamo facilmente Capo d’Armi che col suo faro tozzo in alto sul promontorio roccioso segna formalmente il limite meridionale dello Stretto di Messina.
Salutiamo anche la Sicilia, che ancora per qualche pagaiata si intravede sotto la coltre nuvolosa alle nostre spalle. Un pensiero corre ai nostri amici che stanno completando la circumnavigazione dell’isola: i due maltesi compagni di mille avventure, Albert Gambina e Dorian Vassallo, si stanno cimentando con un kayak doppio a vela per raccogliere fondi da destinare in beneficienza e hanno arricchito il periplo anche della doppia traversata da e per Malta; il collega Giancarlo Gusmaroli, maestro federale ed ingegnere ambientale, pagaia intorno all’isola per sensibilizzare alla tutela del mare e per comporre il #concerto del Mediterraneo. Vale la pena di seguirli e sostenerli sulle rispettive pagine social perché sanno come mettere a frutto il kayak da mare per nobili scopi.
Noi pensiamo a loro mentre proseguiamo a costeggiare la Calabria Ionica.
C’è la solita linea ferroviaria che corre parallela alla costa, talvolta talmente vicino al mare da avere bisogno delle solite gettate di massi frangiflutti o, peggio, delle solite colate di cemento armato a protezione dei binari, parzialmente crollate in mare o completamente arrugginite e rattoppate come a Melito di Porto Salvo. Oggi però scorgiamo il mono-treno, mai visto prima, un trenino composto da una sola carrozza che comprende anche il locomotore, erede moderno delle storiche littorine che qui è mosso da un motore diesel. Corre avanti ed indietro arrivando chissà dove e, lui si, riusciamo anche a fotografarlo.
Scegliamo un lido anonimo di Saline Ioniche per la pausa pranzo.
Se ieri volevamo festeggiare il passaggio dello stretto, oggi festeggiamo invece la decisione presa da Claudia già la settimana scorsa di restare con noi un’altra settimana ancora, o comunque il tempo che sarà necessario per raggiungere Catanzaro (dove forse potrà lasciare il suo kayak in un rimessaggio sicuro e dove magari deciderà di continuare ancora a viaggiare con noi, chissà?!) Oggi scegliamo strozzapreti col pesce spada e le melanzane e siccome Mauro detesta le melanzane sceglie il suo piatto preferito: spaghetti allo scoglio.
Mentre aspettiamo che arrivino le portate commettiamo l’errore di cercare notizie sul luogo, famoso per, nell’ordine da ovest ad est: 1. i vecchi ed estesissimi magazzini, in disuso ormai da vent’anni, delle Officine Grandi Riparazioni delle Ferrovie dello Stato, costruite per le manutenzioni dei locomotori elettrici in un luogo dove le linee ferroviarie non erano ancora elettrificate (e subito ci chiediamo come potessero portare i treni in riparazione?!); 2. il vecchio complesso industriale della Liquichimica Biosintesi, chiusa dopo appena due mesi di attività perché i concimi prodotti vennero dichiarati cancerogeni (!) e gli operai vennero posti in cassa integrazione per ben 23 anni (!!!); 3. il porto mai entrato in funzione, danneggiato da una mareggiata e completamente ostruito da un altissimo banco di sabbia!
Ora il litorale è sormontato da questi mastodontici mausolei del fallimento industriale della regione, frutto delle politiche miopi e criminali degli anni Settanta ed Ottanta: i magazzini sono in parte ostruiti dalla statale ionica, ma la vecchia ciminiera si innalza sulle storiche saline prosciugate e protende in mare arrugginiti pontili mangiati dal mare. Il porto poi, sembra davvero l’opera ingegneristica più inutile e sbagliata di tutte.
Le saline, in compenso, sono ridotte a due piccoli stagni retro-dunali che dal mare non riusciamo neanche ad individuare e che recentemente sono state elette Sito di Interesse Comunitario, che però già la sigla SIC (!) ci sembra premonitrice del futuro di questo triste luogo di transito per diverse specie di poveri uccelli migratori.
Sempre più disincantati e depressi pagaiamo oltre gli assembramenti di natanti ormeggiati vicino alla costa. Gli incendi nell’entroterra proseguono come nei giorni passati, a giudicare dagli avvistamenti di canadair in volo radente per il rifornimento di acqua in mare. Sulla superficie galleggia uno strano strato nero di pezzettini inceneriti, che ritroviamo a più riprese anche sulla battigia, frammisti ai miei adorati ciottolini policromi. Il Bel Paese va in fiamme e riversa in mare i resti degli incendi.
Sbarchiamo sulla lunga spiaggia di sabbia della Marina di San Lorenzo. Piantiamo le tende sotto un piccolo boschetto di pini, tamerici ed acacie cresciuto davanti alle casette in stile calabrese costruite tra la ferrovia ed il mare: tutte diverse, tutte attaccate, tutte a due o tre piani con balconi e terrazzi aperti sull’orizzonte. Forse è questo il segreto per apprezzare questi luoghi: guardare lontano il mare aperto!
Domenica 22 agosto 2021 – 36° giorno di viaggio
Marina di San Lorenzo – Capo Spartivento: 22 km
Sereno – mare calmo e brezza leggermente contraria
La nostra spiaggia è orientata esattamente est-ovest.
Il sole tramonta ad un’estremità e subito dopo luna piena sorge dall’altra.
Durante la notte disegna un arco dorato sul mare giusto attorno all’ingresso della nostra tenda. Una compagnia rassicurante che illumina a giorno il nostro campo per una notte.
La mattina è come sempre lenta ma proficua.
Qualche telefonata a casa e ad amici e poi di nuovo in mare.
La costa lascia come al solito molto a desiderare e orami abbiamo capito che il nostro detto “La terra vista dal mare è molto più bella” non si adatta per niente al Sud Italia. Pazienza. Continuiamo a goderci il mare, perché l’acqua è sempre limpida ed invitante, verde cristallino verso riva e turchese intenso verso il largo. Peccato che continuino a galleggiare in superficie i pezzetti inceneriti delle cortecce degli alberi che ancora bruciano sulle montagne calabresi. Salvo questo triste particolare, però, il mare è davvero incantevole.
L’attrazione della giornata è costituita dai giochi galleggianti per bambini che su questi lidi assumono forme molto accattivanti: incrociamo nell’ordine un lama andino, un tucano coloratissimo ed uno spettacolare rinoceronte alla Mirò che mi fa venire voglia di salirci sopra!
Dietro la sfilza di casette sparse incastrate tra la ferrovia e la spiaggia si alternano lunghe serre dismesse che chissà cosa producevano quando sono state installate. Le più tristi da osservare sono quelle più antiche, costruite ancora in vetro e ferro, ora rispettivamente rotto e arrugginito. Tutto è macchiato dalle tracce degli incendi, più o meno recenti.
Provati più dalla depressione che dal caldo, sbarchiamo per la pausa pranzo a Bova Marina e ci consoliamo con dei bei piatti di pastasciutta nell’unico locale aperto. Il ristoratore ci racconta con gli occhi lucidi e la voce rotta che stanno bruciando da settimane le faggete e le masserie dell’Aspromonte: va in fumo la Calabria.
Riprendiamo a pagaiare ancora più mesti.
L’unica nota di colore della giornata è rappresentata dai calanchi bianchi di Palizzi, una serie di belle collinette di arenaria dilavata dall’acqua e dal vento che viste dal mare sono davvero suggestive, così rigate di azzurro e grigio e così… accerchiate da incendi.
Poco oltre si profila il faro di Capo Spartivento che inizia a lanciare i suoi raggi luminosi proprio quando sorge una luna rossa come poche.
Le notti in campeggio nautico sul mare sono comunque impagabili!
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18 agosto 2021
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17 agosto 2021
Sud Italia Kayak Tour 2021: il diario da Amantea a Taureana...
Venerdì 13 agosto 2021 – 27° giorno di viaggio
Amantea – aeroporto di Lamezia Terme: 27 km
Soleggiato – leggera brezza con qualche ochetta
E’ stata la notte più bagnata di sempre!
L’umidità ha impregnato tutto, tenda e sacchi a pelo compresi, impastando nel tutto anche la cenere dei sempiterni incendi calabri.
Lasciamo le tende ad asciugare al sole e ripariamo nel vicino stabilimento balneare per una seconda colazione al bar, approfittando della connessione per la pubblicazione del diario di viaggio.
Torniamo giusto in tempo per rincorrere la tenda ultra leggera di Claudia che orami asciutta vola sulla spiaggia per andare a scoprire nuovi lidi: un signore gentile le corre dietro e ce la consegna con attenzione quando arriviamo trafelate a ringraziarlo.
La brezza decisa che ha sollevato la tendina rossa ha anche imbiancato il mare di ochette frequenti che rendono la navigazione facile e veloce. Superiamo in un baleno il porto n°41 del viaggio che si chiama Porto Turistico di Amantea anche se è stato costruito nel comune limitrofo di Campora San Giovanni. Quando il gps segna dieci chilometri sbarchiamo per il pranzo in una spiaggia deserta di quelle che ci piacciono tanto. I ciottolini policromi sono infuocati e ricorriamo al nostro magico amico telo per creare un po’ d’ombra salvifica.
Riprendiamo a pagaiare con buona lena e arriviamo in fretta e furia al faro bianco e squadrato del Capo di Lamezia Terme: l’acqua sinora turchina e trasparente si ricopre di strane bollicine verdi ma sotto la superficie si riuniscono decine di meduse violacee, le Rizhostoma Pulmo a cui sono molto affezionata. Le guardiamo, le tocchiamo, le spostiamo. Finchè non ci distrae un nugolo di coloratissimi kite-surf che sfrecciano in tutte le direzioni: cerchiamo di capire quale possa essere la migliore strategia per attraversare il loro campo di gioco, perché si destreggiano tra pescatori e pedane galleggianti ricolme di bagnanti. Invece il vento cala all’improvviso proprio quando stiamo per passare tra le loro vele ed in un attimo tutti i kit si ammarano e vengono recuperati ognuno da un diverso gommoncino a motore.
La costa è molto più bassa, con una grande vallata aperta sul mare che si protende nell’entroterra, e le montagne si scorgono solo in lontananza, mentre le colline più vicine sono ricoperte di vigneti e uliveti. La lunga spiaggia di sabbia è incorniciata da un’altrettanto lunga pineta: non ci sono più neanche le case costruite sul mare. Esultiamo.
Lo sbarco è semplice e veloce, come la pagaiata della giornata.
Siamo da soli e alle sette di sera è già tutto pronto, tende e cene.
Il sole tramonta proprio davanti a noi, facendo arrossire tutto il cielo sopra ai nostri kayak, mentre la luna sorge subito dopo ed illumina il mare ora tranquillo e silenzioso. La risacca è coperta dai pigolii di alcuni uccelli limicoli ritardatari e dal gracchiare dimesso delle rane che popolano lo stagno alle nostre spalle. Siamo sbarcati nel centro esatto delle piste di decollo ed atterraggio dell’aeroporto di Lamezia Terme (anche questo costruito in un comune limitrofo) e dei giganteschi uccelli di metallo occupano il cielo fino all’imbrunire, ma poi anche loro sembrano ritirarsi a dormire…
Sabato 14 agosto 2021 – 28° giorno di viaggio
Aeroporto di Lamezia Terme – Pizzo Calabro: 23 km
Sereno e caldo – mare calmo e calma di vento
Ci svegliamo alle sette e dopo due minuti sono già le otto!
Il sole infuoca le tende e la sabbia e siamo pronti in un paio d’ore, prima del nostro solito, concedendoci anche il giusto tempo per controllare ancora il gavone di poppa di Giallina, il kayak di Claudia che misteriosamente continua ad imbarcare acqua nonostante le reiterate riparazioni.
I primi tre aerei che si alzano in volo dall’aeroporto di Lamezia Terme sono giusto tre canadair: vediamo i primi comignoli di fumo bianco sulle basse colline dell’entroterra e sembra proprio che in questo periodo gli incendi ci stiano augurando il buon giorno, il buon pranzo e la buona sera. E’ uno stillicidio continuo!
Quella che costeggiamo stamattina è una lunga spiaggia di sabbia chiara che occupa l’intero golfo di Lamezia e che si estende per oltre venti chilometri. E’ tutta spiaggia libera, con interi tratti deserti e con pochi bagni organizzati, con pochi ombrelloni e pochi bagnanti. Ci deve essere una strada che corre tra la spiaggia profonda e la pineta retrostante ma noi scorgiamo solo i lampioni che, in corrispondenza di un raro agglomerato di case-vacanze, assumono la strana forma di funghetti a due braccia (suggerisce poeticamente Claudia, mentre a me ricordano l’osso di pollo che si spezza per esprimere i desideri).
Giusto a metà del lungo litorale sabbioso hanno costruito e poi abbandonato un pontile in ferro cavo e cemento armato, che ora mostra al mare i suoi piloni arrugginiti in diversi punti sprofondati sott’acqua. Ci chiediamo perché non ci sia l’obbligo di smantellare queste imponenti strutture: la facile risposta dei costi ingenti dovrebbe tenere conto anche della tutele del territorio del Bel Paese.
Le meduse galleggiano tutt’intorno ai nostri kayak, in assembramenti sempre più numerosi man mano che ci spostiamo verso sud. I vari fiumi che entrano in mare non modificano la temperatura dell’acqua, che continua a crescere sensibilmente e visibilmente: capiamo che la schiumetta verde acido già incrociata ieri sul capo altro non è se non mucillagine! Le ondine che placide raggiungono la riva sono di un verde brillante che stride con gli azzurri graduati delle acque più profonde.
Il gestore del ristorante in cui facciamo una delle nostre meritate pause pranzo è particolarmente simpatico e loquace e ci spiega che l’acqua diventa verde solo quando fa davvero molto caldo: in luglio non si vede, in agosto è una costante. Noi facciamo naufragare i nostri buoni propositi di viaggio nel sughetto gustoso di uno spaghetto allo scoglio, che Mauro pregusta da giorni e che ci viene servito con un carnoso peperoncino calabrese di guarnizione.
Riusciamo a riprendere la navigazione solo dopo le quattro del pomeriggio e solo a costo di grandi fatiche: nella straordinaria calura estiva che anche oggi rende l’aria ferma e bollente, la digestione stenta ad arrivare e manca poca che ci addormentiamo tutti e tre sulle pagaie.
La costa ci offre poche distrazioni perché continua la spiaggia bassa e la pineta verdeggiante: l’unica nota degna di rilievo sembra essere la condivisa abitudine dei bagnanti di andar via tenendo in spalla l’ombrellone ancora aperto.
Dobbiamo raggiungere Pizzo Calabro per ammirare da lontano i grandi palazzoni delle parte nuova e le alte campate dell’autostrada che incombono sulla cittadina. Come sempre, il centro storico arroccato sulle scogliere strapiombanti davanti al mare è molto bello e molto caratteristico, con bei terrazzi fioriti ed aperti sul blu profondo.
Ci accostiamo alla massicciata che protegge una prima spiaggia ancora troppo affollata e, mentre sale il fumo di un nuovo incendio alle porte del paese, entriamo lenti lenti nella seconda caletta, la Spiaggia degli Dei. Anche questa, come la precedente e la successiva, è protetta da una barriera frangiflutti e ha un fondale misto di pietre e materiali di risulta di lavori edili, tra i quali prevalgono forati rossastri. Troviamo un piccolo varco tra gli ultimi ombrelloni ancora aperti e due gentilissimi signori del posto ci aiutano a tirare in secca i kayak mentre ci raccontano della loro vita, di essere nati a Pizzo e di avere vissuto a Genova, di essere stati imbarcati per tutta la vita, come prima di loro il loro padre, su navi commerciali e da crociera (del resto, signora mia, qui non c’è lavoro e bisogna andare fuori perchè, signora mia, l’Italia ormai è un paese perduto dove tutto brucia!).
Il sole tramonta in un tripudio di colori.
Parliamo qualche minuto con due ragazzi che a piedi hanno fatto la Calabria coast-to-coast e che pure hanno dovuto riparare in un ostello perché l’ultima notte l’incendio era a poche centinaia di metri dalle loro tende. Claudia scambia qualche parola anche con una simpatica coppia di motociclisti arrivati dalla Campania e che come noi ha montato la tenda sulla sabbia. Ad un certo punto, quando ormai la spiaggia si è liberata di bagnanti e bambini, si accomoda davanti alle nostre tende un coro di oltre venti elementi tra bassi, soprani e contralti, per le prove generali di un concerto di musica sacra. Che vanno avanti per due ore buone, fino alle ventitré, con un intermezzo di festeggiamenti con torta e spumante, offerto anche a noi.
L’unica nota stonata è l’odore acre di fogna che aleggia sugli astanti.
Domenica 15 agosto 2021 – 29° giorno di viaggio
Pizzo Calabro – Tropea: 24 km
Caldo e umido – leggera brezza rinfrescante
Il gestore del chiosco della Spiaggia degli Dei di Pizzo Calabro è il più antipatico del Mediterraneo. Non risponde ai saluti di buongiorno se non dopo aver borbottato un intelligibile “qui si lavora, buongiorno un corno!” e parla male di tutto lo scibile umano, dalle donne all’inquinamento ai turisti. Non sembra neanche conterraneo del ristoratore di ieri a pranzo, a riprova che non sono i posti a forgiare le persone ma le persone a fare belli i posti!
Prendiamo solo una crema caffè perché è ormai di rito, scambiamo i saluti con la coppia di motociclisti e prendiamo il mare all’alba delle undici.
Oggi invece di costeggiare tagliamo al largo perché abbiamo deciso che è il viaggio delle oloturie di mare, un viaggio che come pochi altri ci sta mettendo di fronte agli obbrobri, alle storture e alle grettezze della costa italiana e dei suoi abitanti.
Puntiamo decisi verso il capo di Briatico, a dieci chilometri buoni dal punto di imbarco, tagliando al largo il porto di Vibo Valentia con le sue cisterne di idrocarburi e con il suo attiguo cementificio. Ci circondano una miriade di motoscafi di diverse dimensioni e velocità di crociera che vanno tutti nella nostra stessa direzione. Sotto il paese adocchiamo una caletta ricolma di gozzi colorati tirati in secca ed issati su possenti legni di alaggio: la linea di chiglia è costituita da due longheroni arcuati che fanno da basamento senza bisogno di altri puntelli. Sono bellissimi. Sbarchiamo per ammirarli meglio e notiamo che tra uno e l’altro sono stati tirati teli ombreggianti per il pranzo di ferragosto di vari famiglie di pescatori. Anche noi approfittiamo dell’ombra del gozzo più grande per la nostra pausa pranzo e per il mio pisolino di ordinanza. Poi Mauro scopre che nelle vicinanze c’è un baretto e finiamo col bere birra e granita di mandorle.
La torre accanto alla spiaggia è mirabile: la targa recita “Torre Barbaresca con basamento risalente al IV secolo a.C.” e noi restiamo a lungo a studiare la sezione interna, perfettamente visibile perché in gran parte la torre è crollata: due piani a base ottagonale con le volte interne ancora integre ed intonacate e con una pietra di colore dorato che ha certamente alimentato anche la spiaggetta della nostra sosta.
Riprendiamo con calma la navigazione nel pomeriggio afoso e placido, puntando contro sole verso il promontorio di Tropea. Per la prima volta pagaiamo in un giardino di roccia, tra due scogli degni di questo nome, sotto una scogliera di granito scuro che inizia a farci sperare che forse, in fin dei conti, non è poi un viaggio di oloturie.
E’ pieno di quei motoscafi che al mattino uscivano dal porto e che sarà tutto il giorno che sono ancorati uno accanto all’altro sopra dei bellissimi fondali di massoni giganteschi e levigati che si tingono di tonalità verdi ed azzurre.
Sbarchiamo in una spiaggetta superaffollata contando sul fatto che al calar del sole se ne andranno tutti. Non pensiamo però di dover fare i conti con tre ragazzi milanesi che si mettono a palleggiare proprio accanto ai nostri kayak appena tirati in secca, riempiendo subito di sabbia i nostri pozzetti. Al mio deciso “a ragazzì, ve lo buco ‘sto pallone” si scusano, si avvicinano e si informano sul nostro viaggio. La cosa che mi sorprende sempre è che tutti sappiano dove si trova Latina: “Ma davvero arrivate in kayak da Latina?”
Il sole tramonta dietro una fitta schiera di mega-yacth all’ancora di fronte al porto di Tropea, e per un momento si intravede la sagoma dell’Isola di Stromboli, da cui anni fa avevamo completato una indimenticabile traversata in kayak.
Mentre ceniamo iniziano degli spettacolari fuochi d’artificio sul mare che durano il tempo di farci restare a bocca aperta, soprattutto perché si ripetono sempre più vicini per altre due volte!
Lunedì 16 agosto 2021 – 30° giorno di viaggio
Tropea – Capo Vaticano: 12 km
Caldo – mare calmo
Al risveglio abbiamo una sorpresa!
La coppia di motociclisti incontrati a Pizzo Calabro si è accampata nella caletta oltre la nostra e i due nuovi amici vengono sorridenti a portarci un caffè caldo in tazza! Arriva però presto il momento dei saluti perché la spiaggia si affolla in poco tempo: prima che piantino un ombrellone anche al posto della mia girandola, cerchiamo un varco per raggiungere il mare e riprendiamo a pagaiare.
Oggi dovremmo costeggiare uno dei tratti più belli della costa tirrenica della Calabria. Non siamo molto convinti, perché già Tropea, la perla della Costa degli Dei, si annuncia dal mare come un susseguirsi di stabilimenti e minestrina (la minestrina di Mafalda, avete presente?). Non sarebbe neanche per gli stabilimenti, uguali agli altri millemila già incontrati in viaggio, con le file di ombrelloni ordinati ad occupare tutto la spiaggia fino al mare. E’ che nella Costa degli Dei, per creare spazio, hanno poggiato sulla sabbia degli enormi cubi di cemento per costruire, non vista mare ma proprio SUL mare, campeggi con piazzole per camper, ristoranti con piscina e qualche villetta nascosta nel verde. E per scendere al mare si notano una serie di strade e stradine, asfaltate o sterrate, che serpeggiano nei canaloni aperti tra una scogliera e l’altra.
La costa è bella, con queste alte pareti di tufo, dorate e striate, con qualche grotta sugli speroni più pronunciati, con un paio di faraglioni niente male, con una serie interessante di scogli di granito che assumono forme intriganti e fantasiose.
Ma la colata di cemento ci rovina l’umore.
Abbiamo deliberato che questo è proprio il viaggio delle oloturie!
Quando raggiungiamo Capo Vaticano ci sembra di entrare in un’oasi di pace. Le spiaggette di sabbia chiara incastonate tra le scogliere di granito sono sempre piene di minestrina, qui condotta da motoscafi o gommoni o pedalò o canoe gonfiabili o anche, giuro, un gigantesco coccodrillo che traina un fenicottero rosa. Però la concentrazione di testoline in acqua è diminuita e non facciamo fatica a trovare spazio sufficiente per noi ed i nostri kayak.
Quella che doveva essere solo una sosta di un paio d’ore si trasforma presto in un pomeriggio di completo riposo: decidiamo subito di restare, di tornare al market del campeggio appena superato per fare qualche acquisto di generi alimentari, di immergerci per ore nell’acqua bassa e trasparente, di oziare al sole, di nuotare tra le rocce affioranti, di aspettare il tramonto.
Montiamo il campo sotto il faro di Capo Vaticano, che presto illumina la notte coi suoi quattro lampi bianchi.
Martedì 17 agosto 2021 – 31° giorno di viaggio
Capo Vaticano - Taureana: 30 km
Sereno variabile – vento da NW in rinforzo nel pomeriggio
Peccato che nel cuore della notte sia iniziata una festa con musica a tutto volume (Bamboleiro urlata in coro!) nel villaggio costruito in cima alla scarpata. Si raggiunge con una bella scalinata panoramica, ovviamente in cemento, scavata nella roccia e realizzata nella macchia e chiusa da ben due cancelli: solo gli ospiti possono aprirli, per scongiurare che gli estranei possano avventurarsi a scattare fotografie dall’alto, oppure a chiedere di abbassare il volume. Tutto sommato, però, al netto delle ripetute interruzioni per le feste notturne, qui dormiamo molto bene.
Riprendiamo la navigazione di buon’ora perché la caletta si riempie di pedalò sin dalle otto del mattino. Il primo bimbetto che si tuffa per nuotare tra gli scogli comincia ad urlare così forte per richiamare l’attenzione dei genitori, che rovina subito l’atmosfera placida del luogo.
Costeggiamo le altre calette di Capo Vaticano, ancora per qualche chilometro impreziosito di punte rocciose, grotte, archi naturali e passaggi segreti tra le scogliere di granito. Ci sorprende un po’ che le varie residenze costruite sulla cima abbiamo ognuna una scalinata che scende fino al mare, segnando la macchia mediterranea di cemento ed acciaio. La pensione Calispera, da cui si gode certamente un tramonto spettacolare, ha persino ricoperto la sua scalinata di una bella rete verde per garantire l’ombra ai suoi ospiti a qualunque ora del giorno.
E niente, il nostro umore peggiora.
Anche perché continuiamo ad avvistare incendi.
Non aggiorniamo il blog con le foto scattate dal kayak durante la navigazione perché non ci sono poi grandi meraviglie da fotografare!
Salvo l’acqua, sempre di un verde smeraldo incredibile, anche sotto le colate di cemento della Costa degli Dei. Ed oltre, fino alle spiagge di sabbia chiara di Nicotera Marina, dove facciamo una sosta per il pranzo per ammirare dall’alto della duna i colori del mare, tutta una tavolozza di verdi e turchesi e blu da tenerci incollati gli occhi.
Poi è la volta del porto di Gioia Tauro, che staglia in lontananza le sue braccia meccaniche per il carico e scarico delle porta-container. Come osserva Claudia, non è bello ma è molto interessante. Ci affacciamo timidi sotto la luce rossa della sua imponente massicciata di "uncinapodi", come ribattezziamo gli strani tetrapodi di cemento armato a forma di unico che proteggono entrambe le braccia dell’ingresso del porto. La bocca è libera e solo di tanto in tanto entra una barchetta di pescatori per raggiungere il piccolo porto turistico ricavato in un’ansa del grande bacino portuale.
Attraversiamo indisturbati e tranquilli.
Il lungomare prosegue tra foci maleodoranti, canneti e spiagge libere.
Alle 18.30 in punto sbarchiamo su quella più attraente: ci sono due tamerici che offrono riparo dal vento teso che si è alzato dal primo pomeriggio. E’ la terza giornata ventosa del viaggio. Lo sbarco è un po’ impegnativo ma ancora fattibile: è l’imbarco di domattina ad impensierirci, perchè se il vento non cala potrebbe diventare molto più faticoso spingere i kayak oltre il dumping che frange rumoroso sulla battigia. Speriamo che il vento cali durante la notte, secondo le previsioni. Rossella O’Hara ci ha insegnato che comunque domani è un altro giorno!
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16 agosto 2021
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14 agosto 2021
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13 agosto 2021
Sud Italia Kayak Tour 2021: il diario da Diamante ad Amantea...
Lunedì 9 agosto 2021 – 23° giorno di viaggio
Spiaggia a nord di Diamante – Cittadella del Capo: 20 km
Cielo coperto e tempo variabile – mare calmo e vento mutevole
Ci svegliamo alle prime luci del mattino.
Mentre facciamo colazione un signore gentile scende le scalette di una delle case sulla spiaggia e viene ad offrirci del caffè fumante. Non ci facciamo mancare una seconda colazione al vicino stabilimento balneare e stamattina alla crema di caffè aggiungiamo anche un tris di gelati al biscotto. Ce la prendiamo poi molto comoda, montando il nostro magico amico telo crea-ombra proprio tra i kayak, approfittando così del fresco per una serie di chiacchiere che si protraggono fino a mezzogiorno. Che inizio!
Quando siamo pronti all’imbarco lo stesso signore gentile del caffè del mattino torna a regalarci due bottiglie da due litri di acqua ghiacciata: perfetta per questa giornata afosa ed umida.
Un’altra giornata di incendi!
Dopo i tre di ieri lungo la costa a nord di Diamante, oggi ne divampa uno solo in una vallata presso il bel paesino di Belvedere Marittimo. Il canadair arriva solo nel pomeriggio, quando le fiamme hanno divorato le colline ed il boschetto che ricopriva la cima. Un fumo denso e nero offusca l’intero panorama, nascondendo alla vista dapprima le montagne retrostanti e poi anche la costa lungo la quale stiamo pagaiando: quando sbarchiamo, si stratifica nell’aria appena smossa da una leggera brezza di terra e ricopre anche il sole, già intimidito dalla spessa foschia dovuta all’umidità. E mentre consumiamo un pasto veloce seduti sulle scalette di una villetta vista mare piovono dal cielo cenere e faville. Che mestizia!
Ci consoliamo seguendo il volo acrobatico delle sterne artiche che pescano in picchiata proprio davanti alle prue dei nostri kayak, un paio di miglia oltre il paesino di Diamante. Sarà anche rinomato per i murales e per il lungomare vecchio, ma il tentativo all’apparenza abortito di costruire un porto sul versante meridionale ha drammaticamente compromesso la visuale dal mare perché la prima (ed unica) cosa che risalta è la muraglia di tre piani costruita tra l’acqua e le case del paese. Che peccato!
Questo tratto di costa è caratterizzata dalla linea ferroviaria che corre proprio sul mare: di tanto in tanto riusciamo anche a leggere i nomi delle stazioni. Come sempre, per proteggere la strada ferrata sono stati disseminati ovunque massi squadrati accatastati anche in doppia fila, dove serviva proteggere le villette costruite tra la ferrovia e la spiaggia. Di spiaggia ne è rimasta ben poca, a dire il vero, e scorgiamo delle irrisorie mezze lunghe di sabbia chiara solo nei punti in cui sono state create delle barriere frangiflutti per smorzare il moto ondoso. Che storture!
Per distrarci dagli incendi e dagli obbrobri, Claudia ed io decidiamo di calare le lenze. L’unico che, senza lenza, tira su qualcosa è Mauro: un secchiello verde per i vermi ed una busta di plastica per le cozze. Nel mentre sale a bordo anche Dino, una bellissima formina gialla a forma di dinosauro. Per un po’ piove, ma è solo una nuvoletta di passaggio, e per un po’ si alza una brezza contraria leggera ma sufficiente a far scendere la nostra velocità di crociera ad appena due chilometri orari.
Visto che non ci sono molte altre distrazioni, iniziamo a contare le carrozze dei treni e scopriamo che qui in Calabria corrono in entrambe le direzione dei curiosi tre-treni grigi con un solo vagone e due locomotori in testa ed in coda. Passano anche dei tetra-treni, esa-treni, epta-treni e persino dei dodeca-treni. Ma i più comuni restano i nona-treni. Salvo poi i treni notturni che sono quasi tutti treni merci e sono lungherrimi. Che roba!
Sotto il piccolo promontorio roccioso di Cittadella del Capo scorgiamo la spiaggetta dei nostri sogni, aperta sul mare e sul tramonto, protetta da una scogliera rocciosa multicolore che domattina ritarderà l’arrivo del sole, e soprattutto semi-deserta: c’è solo una coppia di ragazzi che si vede all’improvviso circondata da tre kayak giunti dal mare.
Prima che il sole sprofondi dietro la coltre di umidità abbiamo tutto il tempo per giocare coi ciottolini maculati della riva, per asciugare le sacche bagnate nel gavone di poppa di Claudia, che imbarca acqua da un paio di giorni, per scrivere il diario di viaggio, per cucinare una cena prelibata e per edificare il nostro campo per la notte sotto una falce di luna bianchissima che appare e subito scompare. Che meraviglia!
Martedì 10 agosto 2021 – 24° giorno di viaggio
Cittadella del Capo – Paola: 24 km
Sole infuocato – mare piatto
La notte è stata per me alquanto tribolata.
Col raffreddore che mi perseguita ho più fame del solito. Mi sveglio alle due del mattino e mi preparo una doppia panzanella con olive nere e acciughe sott’olio. Non soddisfatta cerco nel gavone altre prelibatezze ed in breve arrivo a dare fondo alla cambusa.
Sin dal mattino fa un caldo africano. Si preannuncia un’altra giornata afosa e umida. Meno male che la spiaggetta dei nostri sogni resta in ombra fin quasi alla dieci. I primi bagnanti sono molto curiosi e ci fanno domande su pannelli solari, medie giornaliere, peso e volume dei kayak proprio mentre ci stiamo per imbarcare. Salutiamo e scompariamo dietro il capo.
Il paesino di Cetraro si preannuncia con un assurdo e forse abbandonato ascensore nella roccia che dalla strada panoramica conduce all’unica spiaggetta incassata tra gli scogli. Il porto ha una diga foranea imponente ed un ingresso completamente ostruito dalla sabbia, tanto da essersi formata una larga spiaggia sulla quale avremmo potuto tranquillamente trascorrere la notte. Il resto del paese visibile dal mare non stimola oltre la nostra attenzione, perché la sequenza di case abbarbicate sulla spiaggia mette più tristezza che altro.
Costeggiamo perché non abbiamo alternative.
Ad un tratto scorgiamo l’insegna arcuata di una trattoria e sbarchiamo nelle vicinanze. Il paese si chiama Intavolata ed il nome lascia presagire un bel pranzetto a tavola. Il tempo di cambiarci e di infilarci i sandali, perché la sabbia è davvero bollente, e ci ritroviamo seduti ai tavoli in legno verde apparecchiati all’ombra del pergolato della piccola ma accogliente trattoria a conduzione familiare. Pregustiamo già uno spaghetto allo scoglio! Sono appena suonate le due del pomeriggio e la signora ci informa, con immenso nostro dispiacere, che la cucina è appena stata chiusa. Mauro impreca in silenzio e in preda al più nero sconforto ordina un panino con prosciutto, mozzarella e pomodoro, lui che i pomodori li detesta. Il pane non è pane comune, ma pasta della pizza della cucina già chiusa: ed è buonissimo. Ordiniamo un secondo panino a testa: no, finito pure il pane della pizza! Mauro è sempre più deluso e imbufalito: neanche il gelato e la crema di caffè con una spolverata di cacao riescono a risollevargli il morale. E per l’intero pomeriggio va avanti a chiedersi come sia possibile chiudere alle due e finire i panini alle due e… Ma non ci sarà nessun greco da queste parti che ha aperto una taverna sul mare?
Appena saliti in kayak due signore sul materassino si chiedono se abbiamo intenzione di raggiungere lo Scoglio della Regina, il cui profilo anonimo si profila sul capo roccioso mezzo miglio più a sud. E quando ci sentono rispondere che si, pensiamo di raggiungerlo e superarlo per arrivare al Gargano (oppure dove arriviamo!), restano per qualche istante in un sorpreso silenzio che esplode poi in un sonoro e gemello “Bravi! Complimenti!”
Passiamo mogi mogi Guardia Piemontese e Fuscaldo, osservando che i paesini calabresi arroccati sui primi contrafforti montuosi sono molto belli, in pietra e magistralmente amalgamati al paesaggio circostante. Sono le case costruite sulla spiaggia in epoca assai più recente ad aver rovinato tutto. Meglio le case che gli stabilimenti balneari, sentenzia Mauro: queste almeno non hanno la musica a palla tutto il santo giorno.
Paola è un centro più grande e più caotico.
Sbarchiamo prima di raggiungere il primo stabilimento balneare, subito dopo uno di questi porti improvvisati che non sono neanche porti, ma scali in cui il motoscafo è portato in mare su un carrello trainato da un trattore di campagna. La spiaggia sembra libera e abbastanza profonda per ospitare i nostri tre kayak e le nostre due tende. L’illusione di restare soli per la notte evapora appena spuntano le prime stelle, le uniche visibili nella densa foschia dell’umidità notturna: è la notte di San Lorenzo e da queste parti sembra sia d’obbligo festeggiare la ricorrenza con un falò sulla spiaggia. In poco meno di un’ora veniamo circondati da cinque falò, due braciolate ed un concerto di chitarra e coro stonato.
Alle nostre spalle brucia la collina più alta di Paola. Il fumo che era visibile già da lontano nel primo pomeriggio sembrava essersi arreso all’evidenza del fatto che ormai non c’era più niente da bruciare. Invece al nostro sbarco alcuni comignoli bianchi hanno ripreso ad ardere con vigore ed in poco tempo si sono stagliate nella notte le fiamme alte delle piante aggredite dal fuoco. Con le drammatiche notizie che ci raggiungono solo oggi sui devastanti incendi della nostra amata Isola Eubea in Grecia, questi falò canterini ci sembrano oltremodo fuori luogo e fuori tempo… Ma forse siamo noi ad essere fuori posto!
Mercoledì 11 agosto 2021 – 25° giorno di viaggio
Paola – Belmonte Marina: 22 km
Caldo africano – mare bianco come il cielo
Il fuoco della collina di Paola è andato avanti tutta la notte.
Al mattino abbiamo scorto i resti del boschetto che fino a ieri occupava la vallata e dell’ampio pascolo ormai abbandonato ed ora del tutto bruciato.
In compenso, i falò sulla spiaggia si sono spenti alle prime luci dell’alba. E nessuno (nessuno!) dei convitati ha pensato bene di portar via i resti della legna bruciata: è dovuto passare alle sei del mattino un signore in divisa con grandi sacchi per la spazzatura che con pazienza e fatica ha ripulito la spiaggia e raccolto anche i vetri rotti delle bottiglie di birra mandate in pezzi contro i massi adagiati tra la spiaggia e la strada sterrata.
Quando siamo quasi pronti all’imbarco, ci viene l’idea di una seconda colazione al bar dello stabilimento accanto: cornetti caldi e crema di caffè di rito. Stavolta servita con una bella corona di panna montata.
Ritardiamo di quasi un’ora la partenza, ma ne valeva la pena.
La nostra direzione stamattina sembra essere il nulla.
Oggi il cielo ed il mare si confondono nell’umidità e si scambiano colori e densità. L’aria è così bagnata da rendere quasi del tutto inutili le continue abluzioni che ci troviamo a ripetere ogni cinque o sei pagaiate. Facciamo fatica a ricordare una giornata in kayak altrettanto calda.
Passiamo Paola ed il suo piccolo faro bianco nascosto sull’antica torre in pietra. Poco oltre c’è anche il carcere che staglia il suo profilo sul litorale, dietro l’immancabile linea ferroviaria che anche oggi accompagna la nostra pagaiata. Prima di San Lucido si allungano in mare una serie di spiagge a pennello, nate tra le barriere frangiflutti erette per proteggere la ferrovia, e che anni addietro sono valse al mio fratello geologo un incarico come consulente tecnico d’ufficio in una annosa causa presso la Corte di Appello di Catanzaro in cui si scontravano tutela del paesaggio, lavori di mantenimento della ferrovia, scelte politiche locali e varie ed eventuali…
La nostra sosta è sotto una tamerice stentata che sopravvive su uno scalino sabbioso scavato sotto le sue radici dalla forza del mare: la spiaggia in questo punto è anche abbastanza profonda, ma le mareggiate devono avere inferto negli anni duri colpi non solo ai binari del treno, che in alcuni tratti abbiamo visto divelti, arrugginiti ed arenati, ma anche ai timidi alberelli che cercano di sopravvivere in questa terra desolata. La Calabria tirrenica non ci sta offrendo certo il suo lato migliore.
Gli incendi continuano ad incoronare ogni singola collinetta e ormai riconosciamo l’inizio di un focolaio dalle prime lingue di fumo chiaro che escono dal bosco o dalla macchia. Una depressione collettiva ci assale e non ci molla più. Complice forse questo tempo strano, caldissimo ed immobile. Anche la pagaiata diventa pesante e quasi noiosa.
Allo scoccare dei 20 chilometri cerchiamo una spiaggia adatta al campeggio nautico e la troviamo incastonata ai piedi della ferrovia, sotto uno striminzito filare di canne che restano immobili a guardare il mare per tutto il tempo che noi impieghiamo a tirare in secco i kayak e ad allestire le tende per la notte. Iniziano ad ondeggiare nella brezza fresca della sera colo quando cala l’oscurità più completa: il sole si è tuffato non in mare ma dietro una spessa coltre di umidità, che ha tinto il tramonto di un giallo pallido mai visto prima, e la luna è sorta per una scarsa mezz’ora prima di scomparire con la sua falce appena visibile dietro lo stesso immobile strato di foschia.
Poche stelle in cielo ma nella macchia cantano i grilli: e noi riusciamo a sentirli, finalmente!
Giovedì 12 agosto 2021 – 26° giorno di viaggio
Belmonte Marina - Amantea: 11 km
Condizioni eno-gastronomiche favorevoli ci costringono a terra!
Ci svegliamo con uno strano strato di forfora su tende e kayak: la cenere degli incendi che devastano la Calabria si va lentamente depositando su ogni cosa animata e inanimata. Un elicottero col pallone già pieno d’acqua sorvola il nostro campo mentre facciamo colazione. Stamane non abbiamo la possibilità di farne una seconda, perché la nostra spiaggia è lontana da ogni centro abitato. Vedremo di resistere, soprattutto alla pena di continuare ad avvistare incendi in ogni dove.
L’acqua resta di un colore strabiliante.
E’ di un verde smeraldo che incanta. Pagaiamo guardando sempre più spesso le profondità marine, così piene di meduse, che non la costa piatta e monotona. Anche il mare è piatto, ma tutt’altro che monotono. Però l’afa persiste e chiediamo a Mauro di raccontarci una storia. Lui si rianima e ci racconta la sua preferita: “Questa è la storia della vacca Vittoria. Muore la vacca, è finita la storia!”
Ci dedichiamo allora ad una nuova attività, il Boat-Watching.
La inventiamo nei pressi della foce del Fiume Licetto, dove hanno realizzato un piccolo rimessaggio di motoscafi su una delle tante spiagge di sabbia incassate tra i soliti massi frangiflutti.
Qui invece delle scavatrici adattate a gru, utilizzano un grosso muletto da cantiere a sei ruote motrici e dotato di due lunghe forche di acciaio arrugginito. L’ammaraggio prevede l’estroso uso del muletto per sollevare da terra il motoscafo di turno ed adagiarlo in acqua a pochi metri dalla battigia. Lo chiamiamo “cataforcaggio”. Il tutto sempre con i conducenti aggrappati come possono ad un qualunque appiglio durante l’intera fase aerea. Stessa cosa per l’operazione inversa, quando il motoscafo rientra alla base suonando all’impazzata già da grandi distanze per avvisare il conducente del muletto del suo arrivo: le due forche sollevano il motoscafo dall’acqua e lo adagiano al posto riservato nella rimessa. Sempre coi pescatori sopra.
Starei ore a guardali: mi sembra un’attività pericolosa e seducente insieme. E la fantasia di adattare mezzi ideati e costruiti con altri scopi per movimentare barche da diporto mi affascina sempre tantissimo! Genialità e follia all’ennesima potenza: evviva la creatività italica!
Poco oltre intravediamo nella foschia mattutina la foresta elettrificata della stazione ferroviaria di Amantea. Dobbiamo fare rifornimento di acqua, sigarette e viveri, così scegliamo di fare una breve sosta in paese.
Ci infiliamo nel più vicino supermercato, quello con una serra interna in cui sono cresciute piante di banano che mostrano caschi di frutti invidiabili. Mentre Claudia ed io sfidiamo indomite l’aria condizionata che trasforma i riparti di frutta e verdura in agghiaccianti regioni artiche, Mauro resta fuori a guardare gli incidenti che accadono con strana frequenza nel parcheggio del centro commerciale. Ad un certo punto si sente chiamare per nome: “Mauro, non ti ricordi di me? Sono un kayaker della vecchia associazione Piccola Compagnia di Navigazione del Kayak da Mare! Avevamo pagaiato insieme per la traversata da Tavolara! Saranno passati vent’anni, ormai: ho smesso io, tu invece continui imperterrito ad andare in kayak. Bravo”.
Poi succede l’irreparabile.
E Claudia conia l’espressione che dà il nome alla giornata.
Condizioni eno-gastronomiche favorevoli ci costringono a terra per più ore del previsto. Riprendiamo a pagaiare solo nel tardo pomeriggio.
Inciampiamo in un ristorantino decorato di pesci di ogni fattura e dimensione, di legno, ferro e carta, e restiamo seduti a tavola il tempo strettamente necessario ad onorare il seguente menù: tris di antipasti a base di 1. impepata di cozze tarantine, servita con fette di pane casareccio e assaggio di rosa-marina, una salsa calabrese a base di neonata di pesce e peperoncino; 2. tradizione amanteana con alici ripiene, alici marinate e monacelle, impasti fritti di alici salate locali; e 3. sei assaggi di antipasto di mare con insalata di polpo, alici ripiene, gambero croccante, focaccina gourmet con pesce spada marinato e stracciatella. A seguire, tre primi piatti delle tradizione: tre spaghetti alla chitarra con la mollica, cioè un perfetto accostamento di mollica di pane raffermo ed alici salate. Per chiudere, un altro tris di dolci: tiramisù scomposto con savoiardi al caffè, crema al mascarpone e scaglie di cioccolato (il preferito di Mauro), millefoglie con crema al mascarpone, granella di pistacchi e crema di pistacchi di Bronte (il preferito da Claudia), ed il bocconotto di Amantea, dolcetto di pasta frolla farcito di cioccolato e mandorle (il mio preferito). Tutti i dolci vengono accompagnati da un ottimo sorbetto al limone servito in una coppa gigante, un boccale di rosato profumatissimo e gustosissimo e due liquori locali dai nomi accattivanti e dal sapore speciale, il kardija ed il kaciuto!
Temo di non riuscire più a far stare la panza nel pozzetto.
I kayak sono oltremodo pesanti, con la linea di galleggiamento più bassa del solito, e non certo per la cambusa rinnovata!
Riprendiamo a pagaiare che sono quasi le sei del pomeriggio.
Superiamo a fatica l’abitato di Amantea e prima ancora di lasciare il paese sbarchiamo per riposare. Il tramonto ci tiene occupati giusto il tempo di digerire le ultime molliche e per penitenza ci infiliamo in tenda senza cena! (che vita di stenti!)