IL BLOG DI TATIYAK

Il kayak è diventato la nostra grande passione, quella che ci appaga al punto da abbandonare tutte le altre per dedicarci quasi esclusivamente alla navigazione.
In kayak solchiamo mari, silenzi, orizzonti ed incontriamo nuovi amici in ogni dove...
Così abbiamo scoperto che la terra vista dal mare... è molto più bella!
Tatiana e Mauro

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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22 agosto 2021

Sud Italia Kayak Tour 2021: il diario da Taureana a Capo Spartivento...

Mercoledì 18 agosto 2021 – 32° giorno di viaggio
Taureana – Cala Janculla a nord di Bagnara Calabra: 13 km
Sereno variabile – vento da NW in attenuazione nel pomeriggio

E infatti le onde ci atterrano.
Prima di ritirarci in tenda abbiamo tirato i kayak ancora più in secca, visto che la spiaggia si era accorciata di una decina di metri sotto l’attacco dei frangenti. Stamattina il mare lentamente si ritira. Molto lentamente.

Noi facciamo le nostre cose con la solita lentezza: ci svegliamo, ci stiracchiamo, ci sediamo a chiacchierare, poi a fare colazione, a smontare il campo e a riporre le sacche nei gavoni. Tutto molto lentamente.
Non sapendo se riusciamo o meno a ripartire, ci mettiamo anche alla ricerca di una fonte di acqua dolce, che troviamo nel giardino di una della casette costruite sulla spiaggia.

L’impegno più pressante e ricorrente, però, è guardare le onde.Le guardiamo da vicino, quando proviamo a lavarci la faccia per toglierci dagli occhi la pesantezza del lungo sonno notturno. Le guardiamo da lontano, seduti all’ombra delle due tamerici che ci hanno protetto dal vento ieri sera e dal sole cocente stamattina. Le guardiamo dal basso, mentre scattiamo qualche foto ricordo, e le guardiamo dall’alto, mentre ci arrampichiamo sulla duna per osservare lo stato del mare più al largo.

Fuori sembra tutto tranquillo, con le solite navi porta-container che incrociano in ogni direzione o che attendono all’ancora il proprio turno per entrare al porto di Gioia Tauro. Solo a riva le onde si gonfiano e giocano tra loro ad inseguirsi, una cresta bianca dopo l’altra. Si è formata una vasta secca che fa aumentare l’altezza media delle onde fino a due metri ed il fragore che si scatena sulla battigia ad ogni ricciolo è sempre più inquietante. E anche il colore dell’acqua è cambiato, da un blu scuro è diventato un verde chiaro ed è netta la linea di demarcazione tra la sabbia smossa in sospensione ed i fondali più lontani e profondi.

Le previsioni dicono che alle undici il vento cala. Le onde presto o tardi smetteranno di impensierirci. Continuiamo a guardarle fino all’ora di pranzo. Quando finalmente si attenua l’effetto del vento, anche le onde calano e ci lasciano spazio, tempo e modo di riprendere il mare.

Lanciamo in acqua Claudia sul suo kayak giallo sole, la prima ad essere pronta per la nuova giornata di navigazione. Poi insieme a Mauro lanciamo in mare anche il mio kayak, che Claudia affianca ed ormeggia. Poi Mauro si siede nel suo Voyager, si chiude il paraspruzzi e con me alla sua prua aspetta il momento adatto per farsi aiutare a prendere il mare. L’espressione “prendere” è proprio la più adatta: bisogna calcolare bene i tempi per capire quando è meglio agganciare l’onda per superare lo scalino d’acqua, il fatidico dumping che ancora non si è completamente placato. Io raggiungo a nuoto il mio kayak e Mauro mi restituisce la cortesia di averlo aiutato con una spinta offrendomi un sostegno per la risalita assistita. Sono ottime occasioni di allenamento, queste intemperanze del mare!

Una volta al largo, ammiriamo il breve tratto di costa lungo cui pagaiamo per raggiungere il piccolo porticciolo turistico di Taureana, nascosto dietro uno scoglio solitario ed una imponente muraglia di tetrapodi, ai piedi di una bella torre di avvistamento che forse ha dato il nome al luogo. Sappiamo che nel porto c’è una scivolo. Non sappiamo che è di legno, in pessime condizioni ma perfetto per le nostre esigenze: sbarcare per fare rifornimento di acqua e viveri. Il gestore del centro subacqueo proprietario dello scivolo è molto gentile: ci regala una bottiglia di acqua fresca e delle utili informazioni sul più vicino alimentari. Che raggiungiamo sotto il sole cocente ma dal quale ritorniamo in auto: chiediamo ed otteniamo un passaggio da due giovani milanesi di origini calabresi che ci lasciano vicino ai kayak. Le assi di legno dello scivolo scricchiolano che sembra una sinfonia, ma sono ideali sia per stivare nei gavoni le nuove leccornie che per alare i kayak in acqua: scivolano molto facilmente verso nuove avventure.

Le poche ore di luce che ci restano del tardo pomeriggio ci regalano un tratto di costa tra i più belli del viaggio.
Da Taureana a Bagnara Calabra è un susseguirsi di alti pareti rocciose ricoperte di macchia mediterranea, senza neanche l’ombra di una casa abusiva o di un paese, salvo il piccolo agglomerato del borghetto marinaro di Marinella di Palmi che sembra proprio un paesino da cartolina. Qualche grotta, qualche piccolo faraglione, qualche scoglio semi-sommerso. E la ferrovia che corre a mezza costa e che proprio in questo punto ha una delle stazioni più belle d’Italia, giusto una fermata affacciata sul mare! 

Subito oltre si apre la cala dei nostri sogni. Uno scoglio a forma di gigantesco topolino di campagna occupa il centro della baietta, i ciottolini policromi sono meno levigati del solito, la sabbia della parte alta della spiaggia è ancora calda. Sbarchiamo poco prima del tramonto, quando ormai stanno ritirando le ancore gli ultimi due gommoni di turisti un po’ brilli che avevano scelto la cala per la giornata al mare. Noi invece la scegliamo per la notte. La migliore di tutto il viaggio: silenziosa, buia e tutta per noi.

Giovedì 19 agosto 2021 – 33° giorno di viaggio
Cala Janculla – Catona a nord di Reggio Calabria: 30 km
Sereno variabile – brezza da NW in attenuazione in serata

Oggi è il fatidico giorno della traversata dello Stretto di Messina.
A colazione ricontrolliamo le tabelle di marea: la stanca è alle undici, quando saremo in navigazione verso Scilla, il picco della marea discendente è tra le due e le tre del pomeriggio, quando speriamo di essere già oltre l’ingresso dello Stretto.

Ci svegliamo presto e presto ci prepariamo. Saremmo pronti con largo anticipo e anche con un’insolita velocità rispetto alle nostre medie molli da vacanzieri incalliti. E invece l’imprevisto è in agguato: a Claudia resta in mano la ghiera rossa della pompa di sentina di Giallina, che ormai sembra perdere pezzi ad ogni nuova giornata di viaggio. Mauro impiega quasi un’ora per smontare e rimontare, per nastrare e sigillare, per controllare e ricontrollare. Partiamo quasi allo scadere dell’ora X.
Ma siamo ancora in perfetto orario e puntiamo decisi verso Scilla.

Tagliamo un poco al largo Bagnara Calabra perché già il porto sembra un’opera d’arte dedicata alla cementificazione selvaggia della costa, con una strada rialzata su piloni di cemento armato che scende vertiginosamente in mare dalle ragguardevoli altezze di una piccola rupe  su cui ancora campeggia una bella torre di avvistamento. Come se non bastasse, alle spalle del paese hanno tagliato la montagna per costruire la indispensabile autostrada, realizzando nella vallata più ampia un cavalcavia che grida vendetta, con tre piloni altissimi ai lati e altri due obliqui a sostenere la campata centrale. Almeno quello della vallata successiva è più discreto, con due soli piloni ed una serie di tiranti che visti dal mare somigliano a due grandi vele. Certo, non c’è la minima uniformità architettonica, ma almeno questo sembra rovinare meno il panorama di Bagnara Calabra.

Scilla invece è il più bel borgo marinaro del nostro viaggio.
Capiamo subito perché viene chiamata la Venezia calabra.
Per prima appare la fortezza di pietra e mura ciclopiche che ricopre l’intera sommità del piccolo promontorio proteso verso lo Stretto. Poi si annuncia il paese a mezza costa, raggiunto da un cavalcavia di uscita dell’autostrada che però qui è nascosto da piante e rampicanti. Infine le case costruite sul mare mostrano a chi dal mare arriva balconi gittanti e finestre fiorite e terrazze luminose e torrette rossastre e tanti portoni sull’acqua ad ospitare gozzi ed ombrelloni, tutti colorati degli stessi colori. 

Proviamo a sbarcare sullo scivolo al centro del paesino ma oltre ad essere ricolmo di gozzi blu è anche ricoperto di un sottile strato di alghe verdi che renderebbero le operazioni oltre modo scivolose. Ripieghiamo nel porticciolo, dove c’è un altro scivolo altrettanto ricolmo di gozzi blu, colore imperante in paese, ma dove almeno lo sbarco sembra agevolato da una serie di scogli semisommersi. La pausa è veloce, giusto il tempo di una barretta energetica, la cotognata fatta in casa dal Mammut, qualche fotografia ai vicoletti vicini e ai gozzi che circondano i nostri tre kayak, scomparsi nell’ombra di queste nobili imbarcazioni locali.

Non possiamo mancare l’appuntamento con la marea.
Ci rimettiamo in navigazione e con una straordinaria media di 4 nodi imbocchiamo lo Stretto di Messina. Passiamo il faro di Scilla, il vecchio traliccio arroccato sulla collina ed in un attimo siamo al capo di Villa San Giovanni.

Entra insieme a noi una prima portacontainer carica fino all’inverosimile ed era già uscita una imponente nave da crociera affiancata dalla pilotina per recuperare il pilota. Entrano con noi anche una serie di motoscafi di vari dimensioni e velocità ed esce un rimorchiatore che traina un natante dalla forma più strana mai vista sinora, che a noi ricorda lo scoglio-topo di Cala Janculla. Poi iniziamo a vedere i primi traghetti che fanno la spola tra le due sponde dello stretto, la calabrese e la siciliana, tutti posti di traverso per compensare la corrente. E poi scorgiamo anche i famosi gorghi del canale, generati dalle correnti di marea che nel braccio più stretto diventano davvero giganteschi ed ingovernabili. Nel vedere le ondine bianche della corrente, come di un fiume che sfocia in mare, Claudia esclama “Oh, non vorrei proprio essere lì in mezzo”, mentre io ripenso ai miei trascorsi nelle tidal races di Anglesey e invece si che mi piacerebbe stare proprio lì in mezzo!
Solo che non si può! C’è un tale traffico che non si può!

Ed il bello deve ancora venire: il porto di Villa San Giovanni ha ben quattro banchine di ormeggio dei traghetti e ben quattro luci verdi sulla testa di ogni molo. Arrivando come noi da nord si attraversa per primo il tranquillo porticciolo turistico, dal quale escono a gran velocità solo due motoscafi che avvistiamo da lontano e da lontano evitiamo. E’ poi la volta degli altri tre porti, ognuno occupato da un traghetto in sosta per il tempo strettamente necessario allo scarico di auto e passeggeri e al carico di altre auto e altri passeggeri. Quando uno parte, un altro è già in arrivo. E’ un via vai continuo tra le due sponde dello Stretto. E noi siamo in mezzo.

La nostra strategia è sempre la stessa: aspettare. Aspettiamo che il traghetto del primo molo parta per conquistare la luce verde. Poi aspettiamo che esca anche il secondo e ci portiamo sotto la luce verde successiva. Poi entra un traghetto più grande degli altri, ma ci passa alle spalle perché va ad occupare la prima banchina. Cerchiamo di capire cosa voglia fare il traghetto verde Trinacria, immobile davanti all’ultimo molo. Allora lasciamo andare l’ultimo traghetto ancora in porto e poi scegliamo di attraversare l’ultimo canale. 

Proprio quando pensiamo di essere in salvo sotto l’ultima della quattro luci verdi ecco che capitano tre cose impreviste: il Trinacria si muove e si avvicina al nostro molo, un aliscafo compare dal nulla proprio dietro al Trinacria, che è talmente vicino da oscurare tutta la visuale, e sembra voler entrare proprio nello stesso molo davanti al quale noi stiamo pagaiando. Dulcis in fundo, la corrente che si forma sotto la diga foranea della nostra salvezza è esattamente contraria alla nostra rotta (per uno dei riccioli di ritorno che caratterizzano l’intero stretto!) ed è talmente forte che, sebbene cerchiamo di “bucarla” alla nostra massima velocità, riesce in un attimo a “sputarci” fuori rotta un po' troppo lontani dal porto! 

“Meno male che ho gli occhiali scuri” mormora Claudia emozionata.
La pagaiata decisa ci riporta in pochi minuti in una zona sicura e deserta: i due pescatori sul molo che avevano ritirato le lenze non tanto per lasciarci passare in liberta quanto per capire cosa diavolo stessimo combinando, riprendono pigramente a pescare. E noi riprendiamo pigramente a pagaiare nello Stretto. Siamo salvi!

Siamo anche contro corrente, adesso: non perché sia cambiata la direzione, che resta tale fino alle sei del pomeriggio, ma perché siamo entrati in un’ampia ansa del canale in cui la corrente ricircola e crea corrente contraria e gorghi inaspettati. Che ci accompagnano fino allo sbarco, oltre la foce del fiume ed il litorale attrezzato del paesino di Catona. Sembrano volerci salutare, i gorghi: così vicini e così innocui. Ormai siamo a terra. Sani e salvi.

Festeggiamo con una cena improvvisata allestita sul copri-pozzetto del Voyager di Mauro. Siamo stanchi ma felici. Non aspettiamo gli orari canonici, né per cenare né per dormire. Una giornata così intensa può anche finire prima del previsto. Appena il sole tramonta dietro le colline siciliane, noi crolliamo in tenda!

Venerdì 20 agosto 2021 – 34° giorno di viaggio
Catona – Pellaro a sud di Reggio Calabria: 19 km
Sereno – vento da SE sempre contrario

Oggi gli eventi sono allineati ai nostri tempi.
La stanca di marea arriva a mezzogiorno e noi fino a mezzogiorno non facciamo quasi niente, tranne provare, senza riuscirci, a fare un bagno nell’acqua diventata all’improvviso gelidissima di questa parte dello Stretto. 

La notte è stata tribolata, con un primo intermezzo musicale del karaoke più stonato del Mediterraneo, con un secondo intermezzo rumoroso di un motociclista in libertà sulla battigia e con tutta una serie di fuochi d’artificio, andirivieni di gozzi a pesca, luminarie di navi in transito.
Al mattino Claudia si mette in cerca di cornetti e crema di caffè e ce li porta in spiaggia per la seconda colazione.

Il resto della giornata scorre tranquillo, come la corrente nello stretto.
Noi “circolettiamo”, come già avevamo fatto per passare sull’altro versante durante la circumnavigazione della Sicilia. In quell’occasione l’avevamo chiamata “navigazione a ricciolo”. Siccome la corrente ricircola nelle anse più pronunciate e da contraria diventa favorevole, noi approfittiamo delle più piccole insenature per cercare anche la minima spinta. 

E così raggiungiamo con facilità la città di Reggio Calabria.
La periferia vista dal mare lascia a desiderare, specie oltre il porto che passiamo senza quasi badare all’unico traghetto attraccato al molo: una passeggiata, in confronto al tetra-porto di Villa San Giovanni! Poi però il lungomare del capoluogo mostra tutto il suo splendore anche a chi arriva dal mare: una lunga passeggiata attrezzata corre sulla spiaggia e la strada litoranea è stata costruita proprio sopra la linea ferroviaria. Alberi secolari ovunque e opere d’arte ad abbellire i giardini ben curati. 

Noi sbarchiamo strategicamente vicino al bistrot sulla spiaggia.
E ci restiamo per un paio d’ore, tra un birra e l’altra.
Poi riprendiamo a “circolettare” fino al cambio della marea.
Il resto della costa prospiciente la città di Reggio Calabria non offre un grande spettacolo, perché la stazione ferroviaria prima ed il depuratore cittadino dopo espandono nell’aria rumori ed odori poco invitanti.

Sbarchiamo dopo qualche ora e qualche ricerca affannosa in un piccolo porticciolo ricavato tra due barriere frangiflutti, costruite per riparare alcune casette affacciate troppo in riva al mare.
La serata sarebbe solitaria e tranquilla se non fosse per un simpatico e curioso ragazzo del posto, pescatore per passione, che ci racconta una serie di aneddoti sulle barche da pesca professionale e che poi ci sommerge di domande sul viaggio e sul campeggio nautico.

Nel nostro porticciolo privato non arriva neanche un’onda di risacca: durante la cena le acque si ritirano per la bassa marea e la luna sorge quasi piena da sopra i terrazzi delle case vicine.
I fuochi d’artificio ci danno la buona notte.
Speriamo di dormire senza altre interruzioni.

Sabato 21 agosto 2021 – 35° giorno di viaggio
Pellaro a sud di Reggio Calabria – Marina di San Lorenzo: 30 km
Sereno – brezza da NW al mattino e poi da SE al pomeriggio 

Abbiamo dormito bene ma poco.
Usciamo dal porticciolo privato appena si alzano le prime crestine bianche gonfiate dal vento, che per la mattinata soffia nella nostra stessa direzione.

Sul capo di Pellaro ci sono decine di kite-surf in allenamento, ma corrono tutti più al largo e per noi pagaiare vicino alla riva si rivela la scelta migliore. Una ragazza alle prime armi perde la tavola e quando sto per recuperarla l’istruttore mi fa segno di lascarla lì a galleggiare, spiega all’allieva tutta orecchi come ritornare sul posto e poi ci urla un grande ringraziamento. E buon vento a tutti.

Proseguiamo di gran carriera, sfiorando ancora i 4 nodi che ieri erano favoriti dalla corrente e che oggi sono invece generati dal vento. Il kayak ci permette di sfruttare tanto la forza del vento quando la forza del mare e saper dosare e combinare le cose è una della esperienze più interessanti che si possano fare durante il viaggio.

La costa è ricoperta di casette sparse, costruite proprio sulla spiaggia negli stili architettonici più disparati: ci divertiamo a paragonarli, alla lontana, allo stile messicano quando sono intonacate color mattone e hanno piante grasse ad abbellire i giardini curati, allo stile arabo quando hanno verande con archi a sesto acuto, allo stile greco quando hanno finestre e balconate in legno dipinte di azzurro, allo stile maltese quando mostrano un’unica stanza affacciata sul mare ed il resto della costruzione che si allunga stretta stretta sul retro, allo stile albanese quando sono fatte di aggiunte posticce e del tutto diverse tra loro… Insomma, non proprio una costa da fotografare o ricordare.

Doppiamo facilmente Capo d’Armi che col suo faro tozzo in alto sul promontorio roccioso segna formalmente il limite meridionale dello Stretto di Messina. 

Salutiamo anche la Sicilia, che ancora per qualche pagaiata si intravede sotto la coltre nuvolosa alle nostre spalle. Un pensiero corre ai nostri amici che stanno completando la circumnavigazione dell’isola: i due maltesi compagni di mille avventure, Albert Gambina e Dorian Vassallo, si stanno cimentando con un kayak doppio a vela per raccogliere fondi da destinare in beneficienza e hanno arricchito il periplo anche della doppia traversata da e per Malta; il collega Giancarlo Gusmaroli, maestro federale ed ingegnere ambientale, pagaia intorno all’isola per sensibilizzare alla tutela del mare e per comporre il #concerto del Mediterraneo. Vale la pena di seguirli e sostenerli sulle rispettive pagine social perché sanno come mettere a frutto il kayak da mare per nobili scopi.

Noi pensiamo a loro mentre proseguiamo a costeggiare la Calabria Ionica.
C’è la solita linea ferroviaria che corre parallela alla costa, talvolta talmente vicino al mare da avere bisogno delle solite gettate di massi frangiflutti o, peggio, delle solite colate di cemento armato a protezione dei binari, parzialmente crollate in mare o completamente arrugginite e rattoppate come a Melito di Porto Salvo. Oggi però scorgiamo il mono-treno, mai visto prima, un trenino composto da una sola carrozza che comprende anche il locomotore, erede moderno delle storiche littorine che qui è mosso da un motore diesel. Corre avanti ed indietro arrivando chissà dove e, lui si, riusciamo anche a fotografarlo.

Scegliamo un lido anonimo di Saline Ioniche per la pausa pranzo.
Se ieri volevamo festeggiare il passaggio dello stretto, oggi festeggiamo invece la decisione presa da Claudia già la settimana scorsa di restare con noi un’altra settimana ancora, o comunque il tempo che sarà necessario per raggiungere Catanzaro (dove forse potrà lasciare il suo kayak in un rimessaggio sicuro e dove magari deciderà di continuare ancora a viaggiare con noi, chissà?!) Oggi scegliamo strozzapreti col pesce spada e le melanzane e siccome Mauro detesta le melanzane sceglie il suo piatto preferito: spaghetti allo scoglio. 

Mentre aspettiamo che arrivino le portate commettiamo l’errore di cercare notizie sul luogo, famoso per, nell’ordine da ovest ad est: 1. i vecchi ed estesissimi magazzini, in disuso ormai da vent’anni, delle Officine Grandi Riparazioni delle Ferrovie dello Stato, costruite per le manutenzioni dei locomotori elettrici in un luogo dove le linee ferroviarie non erano ancora elettrificate (e subito ci chiediamo come potessero portare i treni in riparazione?!); 2. il vecchio complesso industriale della Liquichimica Biosintesi, chiusa dopo appena due mesi di attività perché i concimi prodotti vennero dichiarati cancerogeni (!) e gli operai vennero posti in cassa integrazione per ben 23 anni (!!!); 3. il porto mai entrato in funzione, danneggiato da una mareggiata e completamente ostruito da un altissimo banco di sabbia! 

Ora il litorale è sormontato da questi mastodontici mausolei del fallimento industriale della regione, frutto delle politiche miopi e criminali degli anni Settanta ed Ottanta: i magazzini sono in parte ostruiti dalla statale ionica, ma la vecchia ciminiera si innalza sulle storiche saline prosciugate e protende in mare arrugginiti pontili mangiati dal mare. Il porto poi, sembra davvero l’opera ingegneristica più inutile e sbagliata di tutte.

Le saline, in compenso, sono ridotte a due piccoli stagni retro-dunali che dal mare non riusciamo neanche ad individuare e che recentemente sono state elette Sito di Interesse Comunitario, che però già la sigla SIC (!) ci sembra premonitrice del futuro di questo triste luogo di transito per diverse specie di poveri uccelli migratori.

Sempre più disincantati e depressi pagaiamo oltre gli assembramenti di natanti ormeggiati vicino alla costa. Gli incendi nell’entroterra proseguono come nei giorni passati, a giudicare dagli avvistamenti di canadair in volo radente per il rifornimento di acqua in mare. Sulla superficie galleggia uno strano strato nero di pezzettini inceneriti, che ritroviamo a più riprese anche sulla battigia, frammisti ai miei adorati ciottolini policromi. Il Bel Paese va in fiamme e riversa in mare i resti degli incendi.

Sbarchiamo sulla lunga spiaggia di sabbia della Marina di San Lorenzo. Piantiamo le tende sotto un piccolo boschetto di pini, tamerici ed acacie cresciuto davanti alle casette in stile calabrese costruite tra la ferrovia ed il mare: tutte diverse, tutte attaccate, tutte a due o tre piani con balconi e terrazzi aperti sull’orizzonte. Forse è questo il segreto per apprezzare questi luoghi: guardare lontano il mare aperto!

Domenica 22 agosto 2021 – 36° giorno di viaggio
Marina di San Lorenzo – Capo Spartivento: 22 km
Sereno – mare calmo e brezza leggermente contraria

La nostra spiaggia è orientata esattamente est-ovest.
Il sole tramonta ad un’estremità e subito dopo luna piena sorge dall’altra.
Durante la notte disegna un arco dorato sul mare giusto attorno all’ingresso della nostra tenda. Una compagnia rassicurante che illumina a giorno il nostro campo per una notte.
La mattina è come sempre lenta ma proficua.
Qualche telefonata a casa e ad amici e poi di nuovo in mare.

La costa lascia come al solito molto a desiderare e orami abbiamo capito che il nostro detto “La terra vista dal mare è molto più bella” non si adatta per niente al Sud Italia. Pazienza. Continuiamo a goderci il mare, perché l’acqua è sempre limpida ed invitante, verde cristallino verso riva e turchese intenso verso il largo. Peccato che continuino a galleggiare in superficie i pezzetti inceneriti delle cortecce degli alberi che ancora bruciano sulle montagne calabresi. Salvo questo triste particolare, però, il mare è davvero incantevole.

L’attrazione della giornata è costituita dai giochi galleggianti per bambini che su questi lidi assumono forme molto accattivanti: incrociamo nell’ordine un lama andino, un tucano coloratissimo ed uno spettacolare rinoceronte alla Mirò che mi fa venire voglia di salirci sopra!

Dietro la sfilza di casette sparse incastrate tra la ferrovia e la spiaggia si alternano lunghe serre dismesse che chissà cosa producevano quando sono state installate. Le più tristi da osservare sono quelle più antiche, costruite ancora in vetro e ferro, ora rispettivamente rotto e arrugginito. Tutto è macchiato dalle tracce degli incendi, più o meno recenti.

Provati più dalla depressione che dal caldo, sbarchiamo per la pausa pranzo a Bova Marina e ci consoliamo con dei bei piatti di pastasciutta nell’unico locale aperto. Il ristoratore ci racconta con gli occhi lucidi e la voce rotta che stanno bruciando da settimane le faggete e le masserie dell’Aspromonte: va in fumo la Calabria.
Riprendiamo a pagaiare ancora più mesti.

L’unica nota di colore della giornata è rappresentata dai calanchi bianchi di Palizzi, una serie di belle collinette di arenaria dilavata dall’acqua e dal vento che viste dal mare sono davvero suggestive, così rigate di azzurro e grigio e così… accerchiate da incendi.
Poco oltre si profila il faro di Capo Spartivento che inizia a lanciare i suoi raggi luminosi proprio quando sorge una luna rossa come poche.
Le notti in campeggio nautico sul mare sono comunque impagabili!

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