IL BLOG DI TATIYAK

Il kayak è diventato la nostra grande passione, quella che ci appaga al punto da abbandonare tutte le altre per dedicarci quasi esclusivamente alla navigazione.
In kayak solchiamo mari, silenzi, orizzonti ed incontriamo nuovi amici in ogni dove...
Così abbiamo scoperto che la terra vista dal mare... è molto più bella!
Tatiana e Mauro

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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28 agosto 2021

Sud Italia Kayak Tour 2021: il diario da Capo Spartivento a Sant'Andrea Ionio...

Lunedì 23 agosto 2021 – 37° giorno di viaggio
Capo Spartivento – Villa Romana di Casignana: 26 km
Soleggiato – brezza decisamente a favore

E’ la giornata delle sorprese!
Ci raggiungono per pagaiare insieme alcuni amici di kayak in vacanza in Calabria: Angela, Caterina e Marco scendono col furgone fino al faro di Capo Spartivento e ci vengono incontro con i gavoni pieni di biscottini, mostaccioli col vinsanto e frutta a volontà.

Dopo i primi veloci convenevoli, procediamo di buona lena verso la prima sosta per il pranzo, che Caterina propone di consumare a tavola. La proposta è subito accolta non solo a pieni voti ma anche con grande entusiasmo. Mentre attendiamo le numerose e variegate portate di pesce, scopriamo anche che il furgone di Caterina e Marco può trasportare sia Giallina che Claudia verso casa. Cioè, non proprio verso casa: solo verso Iesi, poi le altre tappe prevedono un tragitto in treno a Latina per recuperare l’auto, poi in auto a Iesi per recuperare il kayak, poi una seconda tratta in auto a Civitavecchia per prendere il traghetto ed infine l’agognato rientro a Cagliari. Un viaggio nel viaggio!

Claudia è come al suo solito molto combattuta: da un lato le dispiace lasciarci e chiudere oggi senza alcun vero preavviso il lungo viaggio in kayak; dall’altro sono settimane che tenta di interrompere l’avventura in campeggio nautico escogitando il rientro più comodo possibile. Pensava di fermarsi a Castellammare dopo appena due settimane, poi ha provato a salutarci a Paola, dove aveva persino trovato un lido attrezzato per lasciare Giallina, poi aveva ritentato con la stazione ferroviaria di Reggio Calabria. Ma ogni sera ci ripensava e la mattina dopo riprendeva a pagaiare insieme a noi. Stavolta la proposta è troppo allettante per essere rifiutata!

E così capiamo che sarà il nostro ultimo pranzo insieme!
Dopo due ore con le gambe sotto il tavolo ed un discreta quantità di birre scolate, ci decidiamo a riprendere la navigazione. Marco torna a recuperare il furgone lasciato al faro di Capo Spartivento, mentre noi cinque procediamo in favore di vento verso la nostra meta già concordata: la spiaggia antistante la Villa Romana di Casignana, dove oltre ai vicini scavi la mappa satellitare sembra mostrare un comodo parcheggio per caricare i kayak. 

Passiamo in un baleno la scogliera di Capo Bruzzato e gli scogli semi sommersi del successivo anonimo capo, gli unici della costa ionica calabrese sinora percorsa ad essere disseminati di grandi massi levigati e ricoperti da un leggero strato di alghe verdognole. Almeno rendono il fondale sabbioso un po’ più vario per qualche centinaio di metri.
Arriviamo in poco tempo anche al nostro campo per la notte.

La Villa Romana è ben visibile dalla spiaggia, protetta da ampie strutture con coperture a volta che offrono ai resti archeologici un ottimo riparo dal sole cocente di queste latitudini. Quel che non è visibile, invece, è un passaggio che conduca al margine della Statale Ionica. C’è da attraversare la ferrovia ed in questo tratto non ci sono sottopassaggi. Quando Marco arriva col furgone dobbiamo trasportare i kayak oltre il boschetto di pini e anche oltre la massicciata dei binari. Ma siamo in cinque ed in meno di un’ora è tutto caricato e sistemato a dovere. I saluti ce li scambiamo sul ciglio della statale perché non troviamo un ristorantino aperto in zona.

L’ultima sorpresa della giornata è la luna rossa che sale dal mare proprio dirimpetto ai nostri due kayak, rimasti ora da soli sulla lunga spiaggia di ciottoli e sabbia. Una spiaggia che scricchiola sotto i piedi come se sotto la sabbia ci fosse della pomice: è il luogo ideale per vincere la nostalgia dell’allegra compagnia che abbiamo appena salutato!

Martedì 24 agosto 2021 – 38° giorno di viaggio
Villa Romana di Casignana – Locri: 17 km
Caldo – mare calmo e brezza inesistente

La mattina è quasi interamente dedicata alla visita della Villa Romana.
Vado da sola perché Mauro è tutto intento a risistemare e redistribuire l’acqua e la cambusa lasciata in eredità da Claudia. Supero per l’ennesima volta i binari della ferrovia e arrivo agli scavi all’orario di apertura: ci rimango da sola per oltre due ore, immersa in un passato meraviglioso che non immaginavo potesse nascondersi in questa angolo di Calabria che da giorni brucia di incendi propagati dal mare ai monti.

La Villa Romana di Casignana è una splendida residenza risalente al IV secolo d.C. che gli scavi archeologici hanno riportato alla luce a partire dal 1964, che comprende un ampio insediamento esteso per circa 15 ettari e che continuò ad essere abitato fino al VII secolo d.C. quando la popolazione si spostò verso l’interno. Oggi è possibile visitare un’articolata struttura composta da una villa di rappresentanza, una vasta zona termale (compresa una latrina che conserva i sostegni per la seduta in legno sospesa sul canale di scarico), una serie di ambienti di servizio a supporto delle attività agricole e commerciali dell’insediamento, una necropoli ed una serie di vasche cisterna intercomunicanti per la raccolta dell’acqua piovana e sorgiva che alimentavano poi la fonte monumentale. 

Il terreno in cui sono stati rinvenuti i resti archeologici è attualmente attraversato sia dalla Statale Ionica, che taglia a metà proprio alcune stanze della villa affacciata sul mare, che dalla linea ferroviaria battuta quasi esclusivamente dal nostro prediletto mono-treno diesel. Sopra le terme, inoltre, è stata costruita una casa a due piani che è stata fortunatamente espropriata e che dovrà auspicabilmente essere abbattuta perché, mi spiega gentile il guardiano, alcuni ambienti hanno “incorporato parte degli scavi”. La nota positiva è lo stato di ottima conservazione tanto degli scavi quanto dei mirabili mosaici che li impreziosiscono (oltre venti mosaici, di cui cinque figurati!) e che sono stati volutamente lasciati in situ perché rappresentano il più vasto nucleo di mosaici finora noto della Calabria romana. Sono tutti protetti da coperture a volta che consentono “di controllare i parametri microclimatici e di verificare la coerenza dei requisiti prestazionali”, come si legge sull’opuscolo che viene consegnato insieme al biglietto d’ingresso.

La villa era composta da numerose stanze e nelle varie epoche è stata anche più volte ampliata. Tutte le stanze erano rivestite di pregevoli marmi ed intonaci colorati, in alcuni punti ancora perfettamente visibili. Negli ambienti più lussuosi, inoltre, dei mosaici di tessere in pasta vitrea ricoprivano probabilmente anche il soffitto. Alcune stanze della villa e delle terme sono pavimentate con bellissimi mosaici policromi con tessere nere, versi, rosse, gialle e bianche a formare sia ricercati motivi vegetali che motivi geometrici classici con svastiche, cubi prospettici, code di pavone, quadrati intrecciati e trecce a due capi. I mosaici più famosi sono quelli della Sala delle quattro stagioni nell’ala settentrionale della villa e della Sala delle Nereidi nella zona meridionale delle terme: quattro fanciulle sedute sul dorso, rispettivamente, di un leone, un toro, un cavallo ed una tigre, tutte fiere ancora perfettamente riconoscibili e tutte caratterizzate dalla coda a tre pinne tipica dei mostri marini.

L’interesse maggiore è rappresentato dall’impianto termale, composto da due nuclei distinti ma con identiche funzioni e che ripropongono la successione tipica delle terme romane: il “frigidarium” non riscaldato, il “tepidarium” moderatamente riscaldato ed il “calidarium” riscaldato, oltre al “laconicum” fortemente riscaldato e destinato alle “essudationes”. Ogni ambiente era corredato da vasche per i bagni freddi e caldi e sono ancora visibili le bocche di forno situate al di sotto dei pavimenti che garantivano il riscaldamento delle stanze e delle vasche. 

Ho scoperto così come venivano riscaldate le terme romane: non solo attraverso intercapedini ricavate sotto i pavimenti grazie all’uso sapiente di pilastrini realizzati con mattoni, ma soprattutto attraverso una serie di tubi di terracotta sovrapposti verticalmente e fissati alle pareti con grappe di ferro a forma di “T”: questi tubuli erano dotati di fori laterali che permettevano la comunicazione tra una serie e l’altra e la minima dispersione del calore tra i vari ambienti delle terme. Geniale!

Ho scattato un centinaio di foto: appena rientro a casa, cercherò di sistemarle e di contrastarle al meglio per pubblicarle a corredo del diario di viaggio perché la Villa Romana di Casignana è uno di quei luoghi magici che rendono il viaggio unico e speciale! E che riscattano una regione martoriata dagli incendi e dalle colate di cemento!

Partiamo a mezzogiorno, spostandoci da Bovalino ovest a Bovalino est.
Per la pausa pranzo scoviamo un triangolo all’ombra nel giardino di una pizzeria abbandonata: dietro passa la Statale Ionica e ancora più dietro c’è un supermercato dove acquistiamo, tra poche altre cose, un dolcissimo gelato allo yogurt greco col miele!

Ripartiamo a stento e appena avvistiamo una pineta ci fermiamo.
C’è l’ombra che ci serve per contrastare il sorgere del sole dal mare: le albe sono spettacoli meravigliosi che però accadono ogni giorni troppo presto! Montiamo la tenda sopra un letto di aghi di pino che profumano di resina: siamo un po’ troppo lontani dai kayak, rimasti in spiaggia tra una serie di gozzi colorati, ma alle nove siamo già a nanna!

Mercoledì 25 agosto 2021 – 39° giorno di viaggio
Locri – Roccella Ionica: 16 km
Caldo – mare calmo

Il risveglio è lentissimo, complice l’ombra della pineta.
Smontiamo il campo con tutta calma e poi ci trasferiamo al vicino lido per la crema di caffè di rito. Stamattina ci viene servita un po’ troppo liquida perché la macchinetta è stata appena accesa: ormai non ne troveremo più un’altra che possa competere con la crema di caffè di Castellammare di Stabia, servita con caramello, croccantino e bottoncini di cioccolato. 

Riprendiamo la navigazione a mezzogiorno suonato.
La costa corre bassa e lineare, tra paesi che si susseguono senza soluzione di continuità, con case “fantasia” a 5-7-13 piani e con diversi stabilimenti balneari, stranamente tutti senza musica e senza animazione. La chiamiamo la costa del silenzio!

Le colline retrostanti sono molto scoscese ed in alcuni tratti ritroviamo i famosi calanchi bianchi. I monti sono visibili in lontananza, resi azzurrini dalla distanza e dall’umidità. Oggi per la prima volta non avvistiamo nuovi incendi, ma osserviamo da lontano gli effetti devastanti di quelli divampati nei giorni o mesi precedenti.

Lungo la costa sabbiosa si rincorrono anche diversi ormeggi di natanti che sembrano per lo più improvvisati, solo qualche boa fissata qua e là con dei pesi perfettamente visibili sul fondale sabbioso. Si incontrano per lo più sui capi, che lungo la costa ionica della Calabria non sono dei veri e propri capi, ma piuttosto delle piccole punte appena pronunciate e protese di poco verso il mare aperto. Deve essere un mare aperto ma cortese, questo mare calabrese, per consentire ai pescatori e ai diportisti di fidarsi ad ancorare le loro barche a questi ormeggi non protetti. Ma devono essere comunque affidabili, visto che da Reggio Calabria a Locri abbiamo avvistato soltanto due relitti spiaggiati, di una barca a vela col boma danneggiato e di un trimarano con le braccia di un galleggiante laterale completamente distrutte.

L’acqua del mare è sempre di un verde invitante, trasparente e brillante. E’ un mare pulito, senza plastica o scarichi: si vedono le ondulazioni del fondale sabbioso, di tanto in tanto ricoperto da praterie di Posidonia oceanica. In alcuni punti invece la profondità aumenta fino ad oltre duecento metri ed il verde lascia il posto ad un blu intenso, altrettanto attraente e seducente.

Tagliamo al largo per ammirare meglio il paesaggio!
Un bel pesce spada di un paio di metri salta fuori all’improvviso, a meno di tre kayak di distanza dai nostri, mostrandoci orgoglioso sia la spada che la pinna dorsale: speriamo sia stato spaventato dalle nostre ombre, perché se invece si è trattato di un altro predatore non osiamo neanche immaginare le sue dimensioni!

Ci sono giornate in cui pagaiamo leggeri e veloci. Altre in cui ci sentiamo stanchi e vecchi. I kayak sembrano pesanti, l’acqua dura, l’aria calda, il sole cocente, il paesaggio immobile: oggi tutto ci fa fare più fatica.
Così quando avvistiamo il boschetto più folto della costa ci fermiamo.
Se Claudia per caso ancora si chiede se fosse lei a rallentarci nel nostro giro in kayak, forse adesso può rispondersi serenamente che no, non era certo lei: siamo noi ad essere lenti, lentini, lentissimi!
Ma stavolta facciamo proprio bene. Non è una pineta ma un bosco di eucaliptus, altrettanto profumati. Un ragazzo bolognese curioso e gentile si avvicina per chiederci del viaggio e dopo le solite domande ci stupisce con un’offerta insolita: pizza e prosecco! Accettiamo contenti!

La cosa più bella è il vicino campeggio YMCA (Young Men’s Christian Association) dell’associazione cristiana ecumenica nella sua unica sede italiana: non avremmo mai immaginato di trovare una simile realtà nel nostro paese e subito Marina, una signora allegra e ciarliera, ci spiega che pur mantenendo il nome si è presto evoluta in un’associazione multi-confessionale con una forte vocazione alla coesistenza tra cristiani, ortodossi, protestanti, ebrei, islamici e persino atei e agnostici. Il luogo è talmente accogliente, e rustico come piace a noi, da convincerci subito a restare a cena con i suoi pochi ospiti rimasti! E a tirar tardi a chiacchierare e a ridere con gli otto bambini delle due coppie ancora in campeggio nei bungalow colorati sotto gli alberi: le due sorelle romane hanno quattro figli a testa, una quattro femmine e l’altra quattro maschi, tutti attenti ai nostri racconti sul kayak e tutti molto educati, silenziosi ed allegri. Quando cominciano a sbadigliare, orami a buoi fatto, capiamo che anche per noi è arrivata l’ora della ritirata.

Giovedì 26 agosto 2021 – 40° giorno di viaggio
Roccella Ionica – Faro di Monasterace: 26 km
Pioggia e vento – mare da calmo a poco mosso

La notte è stata più animata del previsto.
Prima degli inaspettati fuochi d’artificio, poi della musica italiana lontana ma perfettamente udibile nel silenzio generale della notte in campeggio, poi ancora un convoglio ferroviario illuminato a giorno con gru e benna al seguito. Siccome il boschetto di eucaliptus confina proprio con i binari, il risveglio di soprassalto alle due di notte mi fa temere di ritrovarmi il treno in tenda. Ci ho messo un po’ a razionalizzare e a riaddormentarmi.

Fortuna che l’alba è avvolta dalle nuvole e che l’ombra avvolge la tenda quando un timido sole si decide a fare capolino tra un groppo e l’altro. Un temporale si preannuncia sulle alture dell’entroterra ed un altro sembra essersi già annunciato sui pinnacoli rocciosi della vicina Roccella Ionica.
Noi torniamo al campeggio YMCA per la prima colazione: caffè latte con pane e marmellata. Come ai vecchi tempi! E anche i discorsi tornano ad essere quelli di un tempo, sui figli ormai nonni dei fiori, sui viaggi per l’Europa in autostop, sulle discussioni politiche e via andando.

Quando il temporale sembra ormai dissolto ed il vento finalmente calato, ci decidiamo a tornare ai kayak, ad indossare giubbotto e paraspruzzi e a riprendere a pagaiare. Passiamo sotto gli spalti del campeggio, un po’ sopraelevato rispetto al livello del mare: tutti i bambini ed i rispettivi genitori sono in prima fila con le braccia al cielo per salutare questi due strani viandanti del mare conosciuti per caso una sera a cena.

A Roccella Ionica facciamo una sosta tecnica per comprare le sigarette di Mauro. E per godere da vicino della vista panoramica sulle sue torri arroccate sulle guglie rocciose del vecchio centro storico.
Aspettiamo che le previsioni meteorologiche si annuncino: il vento di Ostro delle due del pomeriggio che poi rinforza a Libeccio verso le cinque. Entrambi fanno al caso nostro perché ci accompagnano nella nostra rotta odierna, rendendo la giornata un po’ più animata rispetto a quella calma e piatta di ieri. E’ bello quando possiamo sfruttare il vento a favore, ancor di più quando le ondine crestate di bianco che si rincorrono in mare ci permettono di concentrarci sulla navigazione. Il tempo passa e la costa scorre accanto. 

Prima costeggiamo Riace, dove facciamo un’altra sosta tecnica per sgranocchiare un fruttino di mele cotogne del Mammut, mentre gioco a realizzare un’altra delle mie manine di ciottoli levigati: stavolta sono molto particolari, tra i più curiosi dell’intero viaggio, tutti scuri e maculati di macchie tonde e regolari ancora più scure, quasi fossero stati lavorati. 

Poi ci allunghiamo oltre il litorale basso e sabbioso di questo tratto di costa ionica calabrese: un susseguirsi di lunghi spiaggioni deserti, con qualche gazebo di legno e paglia costruito qua e la a distanze regolari, ma oggi tutti privi di bagnanti per via del cielo scuro e carico di pioggia; non ci sono quasi lidi attrezzati e anche quei pochi che incrociamo sono votati al silenzio, quasi un tacito accordo per sintonizzarsi sulla modalità grigia e cupa della giornata; ci sono invece una serie di campi coltivati poco oltre le solite casette sparse sulla spiaggia, costrette tra la statale e la ferrovia, ed incredibilmente vasti uliveti che ricoprono intere colline. Ovunque i segni degli incendi delle settimane passate e ancora in acqua i residui delle ceneri. Non sarà facile dimenticare quest’estate di fuoco!

Infine raggiungiamo la nostra meta odierna: Monasterace.
Il paese è famoso per il suo bellissimo faro tozzo e squadrato a fasce orizzontali bianche e nere: si staglia subito oltre l’anonimo abitato della marina, ma molto più rientrato rispetto alle casette basse ed irregolari del lungomare. Il faro se ne sta appollaiato su una collinetta rientrata, come ad osservare dall’alto non solo la lunga spiaggia di sabbia e ciottoli che si stende ai suoi piedi ma anche un’altra delle numerose meraviglie archeologiche calabresi. Il faro sovrasta infatti i resti archeologici del tempio dorico di Kaulon, risalenti al V secolo a.C., i cui scavi hanno portato alla luce dei mirabili mosaici di rivestimento di una vasca termale che ritraggono delfini e draghi, tutti con le “solite” code a tre punte tipiche dei mostri marini. 

Sbarchiamo ai piedi del faro e per prima cosa, dopo aver tirato i kayak in secca, mi precipito agli scavi perché la luce che filtra tra le nuvole sembra la migliore per scattare alcune foto tanto al sito che al nostro campo. La statua di Diomede è di una bellezza folgorante, non solo perché si affaccia sul mare dal terrapieno degli scavi, ma anche perché la straordinaria fattura delle trecce che avvolgono il grande complesso scultoreo rendono a pieno l’idea del labirinto in cui ci si può perdere (ed in cui il Minotauro ancora cucciolo si racchiude – sull’altro versante della scultura che si apre proprio sul mare!)

Le stelle riempiono il cielo proprio quando i tre lampi regolari del faro iniziano a roteare sulle nostre teste: riconosciamo varie costellazioni a cui siamo da sempre affezionati, la Croce del Nord ed il Delfino, l’Aquila e il Serpente, l’Orsa Maggiore e Cassiopea, e proprio sulla nostra tenda la luminosa Stella Polare! E’ una notte magica che ci fa stare per un bel po’ di tempo con il naso all’insù. 

Venerdì 27 agosto 2021 – 41° giorno di viaggio
Faro di Monasterace – Sant’Andrea Ionio Marina: 21 km
Pioggia e vento – mare poco mosso

Nella notte ci sorprende la pioggia. Avevamo controllato le previsioni meteo e tutti e tre i nostri siti di riferimento non annunciavano la pioggia. Invece alle due di notte una nuvola di passaggio più dispettosa delle altre ha scaricato il suo contenuto liquido giusto sopra di noi. Mauro si è alzato per attrezzare il telo esterno e, come sempre succede in questi casi, non appena lui finisce di sistemare ogni cosa, anche la pioggia finisce di cadere!

Al mattino siamo un po’ stropicciati ma alle nove in punto io mi avvio al museo. Uno sterrato corre lungo gli scavi archeologici di Kaulon già visitati ieri sera e attraversa alcuni campi coltivati fino al sottopassaggio della ferrovia. Poco oltre si apre il bel giardino pieno di reperti del Museo Archeologico di Monasterace. Il biglietto si acquista solo on-line dall’inizio della pandemia e all’ingresso l’unica guida mi chiede il “green pass”, obbligatorio dal 6 agosto per le visite museali: tiro fuori dal portafoglio la mia copia cartacea, un po’ troppo spiegazzata, e mi sento dire che purtroppo non è leggibile. Per un attimo mi sento mancare ma l’attimo successivo mi ricordo di averne conservata una foto nel cellulare: gliela porgo e subito scatta la spunta verde dell’accesso consentito. La tecnologia amica mi fa apprezzare ancora di più il primo utilizzo del “green pass”. E questa non è certo l’unica emozione della mattinata.

Il museo infatti è ricco di reperti archeologici rinvenuti sul sito dell’antica città greca di Kaulon, dotata di un centro abitato, di un tempio dorico, di un complesso termale, di una necropoli in collina, di un porto canale nel fiume che scorre accanto e forse anche di un luogo di approvvigionamento della pietra che oggi risulta sommerso, visto che la costa si è ritratta per oltre 350 metri. Poco al largo del faro, infatti, due boe gialle segnalano l’area speciale degli scavi sommersi di Kaulon, dove sono stati rinvenute colonne, capitelli ed ancore, ed altre meraviglie ora conservate nelle numerose teche del museo. Ci sono anfore e brocche, vasi per oli e profumi, specchi in bronzo e statuette miniaturizzate, coppe e piatti votivi in terracotta, monili e oggetti di uso quotidiano, oltre a molte decorazioni del tempio e delle terme: tra tutte spicca naturalmente il mosaico del drago marino che, insieme agli altri mosaici di draghi e delfini ancora in loco, abbelliva la sala centrale delle terme. 

Ma quello che mi attira di più, e che è diventato il simbolo del museo, è il gruppo di “kadoi” recuperati da pescatori locali nel tratto di mare antistante il tempio dorico di Kaulon: si tratta di grandi contenitori per il trasporto a fini commerciali della pece, l’oro nero dell’antichità. I Greci per primi avevano sfruttato la “risorsa boschiva della pece della Sila”, come si legge sulla didascalia, e la usavano per uso farmaceutico (trattamento di infiammazioni o contusioni), medico (cura di ferite e fratture), cosmetico (ad esempio per la depilazione), per impregnare le torce e per impermeabilizzare le pareti interne dei grandi contenitori per il trasporto delle derrate alimentari (olio, vino, pesce e carni salate), oltre che per il calafataggio degli scafi in legno della flotta mercantile, che assicurava così l’egemonia dei traffici marini ed il controllo del Mar Mediterraneo. I “kadoi” esposti erano parte del carico di una nave in partenza dal porto di Kaulon e diretta verso la Puglia, se non più lontano verso l’Oriente: la permanenza subacquea ha garantito l’eccezionale conservazione della pece, compattata e sigillata dalla terra, ancora allo stato solido come all’epoca veniva trasportata, per poi essere riportata allo stato semiliquido tramite riscaldamento, tanto che allo scopo le pareti interne dei “kadoi” erano rivestite di uno strato di argilla cruda ancora visibile.

Come al mio solito, trascorro un paio d’ore a leggere i cartelli esplicativi e a scattare centinaia di fotografie. Mi rammarico solo per la chiusura del bookshop a causa della pandemia ma mi rallegro della scoperta che gli scavi tutt’ora in corso sono aperti al pubblico in via del tutto eccezionale soltanto fino al 31 agosto!
Quando torno ai kayak è quasi mezzogiorno e Mauro freme per ripartire: nel frattempo si è dedicato ad alcune delle necessarie riparazioni e manutenzioni dell’attrezzatura di viaggio, che quest’estate sembra più provata del solito.

La brezza che spira da sud ci sospinge dolcemente verso nord. Oggi la nostra direzione è esattamente il nord, quindi le prime pagaiate sono agili e veloci. Arriviamo alla pausa pranzo delle due di pomeriggio con buona parte del tragitto giornaliero già coperto e ci ripariamo dalla pioggia sotto uno dei gazebo di legno e paglia che anche oggi incontriamo sulla spiaggia. Ce ne stiamo lì sotto anche quando rispunta il sole e dal nostro quadratino d’ombra osserviamo il mare: per una mezz’ora si imbianca di frangenti ravvicinati e nervosi perché il vento è girato e ha completamente cambiata direzione. Ora soffia più forte e deciso da nord, anche se non ci mettiamo molto a capire che si tratta solo delle prime raffiche dell’annunciato vento da ovest, che si incanala nelle vallate dell’entroterra e che nel raggiungere il mare si allarga a ventaglio lungo la costa bassa e sabbiosa. Ci ricordiamo di un fenomeno analogo nel nostro viaggio a Creta e adottiamo la stessa tattica: pagaiamo vicini alla costa per risalire il vento fino a circa metà del golfo e poi approfittiamo del vento a favore per raggiungere l’altro capo. Qui i capi sono sempre poco pronunciati ma gli effetti sul vento sono identici. 

Passiamo così d’infilata il porto di Badolato, ma appena oltre la sua luce rossa ci accorgiamo che anche questo è completamente insabbiato e invece di barche all’ormeggio al suo interno ci sono ombrelloni piantati al suo ingresso. Il resto del pomeriggio ci offre la solita visuale su una costa lineare con lunghe spiagge di sabbia e ciottoli. Ogni tanto si incontra qualche lido attrezzato e oggi ce ne toccano due tra i più rumorosi ed animati di giochi acquatici dell’intera costa calabrese. All’interno le colline basse sono curate e coltivate, nelle vallate sono stati impiantati nuovi filari di ulivi, e nei punti più panoramici sorgono vecchi paesini in pietra.

Non appena avvistiamo la pineta che incorona la spiaggia bianca di Sant’Andrea Ionio decidiamo di sbarcare, anche se è non sono neanche le sei del pomeriggio. Scendiamo coi kayak poco oltre un nido di tartaruga Caretta caretta, anche questo come gli altri già intravisti lungo la costa protetto da un lungo corridoio di tela oscurante. Sono molti i ragazzi in pellegrinaggio che sul fare della sera si raccolgono intorno al nido: poco dopo arrivano anche i volontari del WWF che sistemano la griglia messa a protezione del nido, spianano la sabbia verso la battigia e si sistemano con gli altri in attesa delle schiusa delle uova. Chissà se stanotte usciranno dei piccoli, come forse è capitato la notte precedente perché ancora si intravedono alcune piccole impronte sulla sabbia intorno alla fossetta del nido. Noi intanto ci infiliamo in tenda: magari avremo la forza di passare a controllare più tardi… 

Stanotte dormiamo in un bellissimo boschetto di acacie sulla duna proprio oltre la spiaggia. Poco più in là, oltre un canale di rovi e di canne si affollano eucaliptus, tamerici e tantissimi pioppi. Il bosco è andato a fuoco qualche tempo fa e si riconoscono gli evidenti segni del passaggio delle fiamme sia sui tronchi degli alberi che sul terreno ancora annerito poco sotto il manto di sabbia e foglie. E’ davvero incredibile la capacità di rinascita della Natura, la resilienza della piante da cui avremmo molto da imparare. I semi secchi delle acacie formano un letto morbido e scricchiolante su cui adagiamo materassini e sacchi a pelo. E’ una notte rumorosa, sia per il crepitio del fogliame che per le attività notturne degli altri abitanti del bosco rinato a nuova vita: si sentono vicini e lontani rami spezzati, foglie smosse, corse disperate e anche qualche salto tra le fronde proprio sopra la nostra tenda. Poi invece cala il silenzio. E la notte è la più bella, profumata, silenziosa, lunga e indimenticabile di tutto il viaggio!

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