IL BLOG DI TATIYAK

Il kayak è diventato la nostra grande passione, quella che ci appaga al punto da abbandonare tutte le altre per dedicarci quasi esclusivamente alla navigazione.
In kayak solchiamo mari, silenzi, orizzonti ed incontriamo nuovi amici in ogni dove...
Così abbiamo scoperto che la terra vista dal mare... è molto più bella!
Tatiana e Mauro

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
_____________________________________________________________________________________________________

09 agosto 2021

Sud Italia Kayak Tour 2021: il diario da Marina di Pisciotta a Diamante...

Mercoledì 4 agosto 2021 – 18° giorno di viaggio
Petricciaio a Marina di Pisciotta – Spiaggia a nord di Capo Palinuro: 21 km
Sereno variabile – vento leggero e mare increspato

La notte è tranquilla e silenziosa, fresca ed arieggiata.
I nostri due vicini in camper si svegliano insieme a noi al primo sole del mattino. I treni che passano giusto sopra le nostre tende ci accompagnano durante la prima colazione e la prima vera nuotata del viaggio. L’acqua è così limpida che si vedono i fondali sabbiosi e si riconoscono le increspature della sabbia in profondità. Finalmente!

Una signora gentile che scende presto a fare il bagno ci spiega che la spiaggia prende il nome dai grossi ciottoli che la compongono e se fino a ieri era rimasta una spiaggia anonima da stamattina ha un suo nome proprio. Lei sale in auto quando noi saliamo in kayak.

I primi dieci chilometri della giornata sono tutti contro vento. Ufff!
Il promontorio di Capo Palinuro è ancora troppo distante per offrirci protezione e soffriamo un po’ per raggiungere la spiaggia antistante lo stadio del paese: per proteggere il manto verde, anche qui hanno gettato in mare una lunga serpentina di massi scuri. La spiaggia libera è una delle più affollate ed animate di sempre, con ragazzi che giocano a racchettoni, a bocce e a pallavolo, un po’ sulla battigia e un po’ in acqua. Noi resistiamo giusto il tempo che cali un po’ il vento!

Proseguiamo verso il promontorio alla ricerca dell’ingresso della Grotta Azzurra, che scoviamo facilmente seguendo i gozzi bianchi delle visite guidate, che si infilano tra le rocce e scompaiono nell’oscurità. Quando arriva il nostro turno servirebbero della maschere anti-gas per entrare ad ammirare il colore turchino dell’acqua illuminata dal sole del primo pomeriggio. Appena usciamo Mauro conclude lapidario: “Qui hanno la minima idea di come si fanno le grotte!” Ma non tutti hanno avuto come noi la fortuna di visitare più volte le millemila grotte variegate di Zante, la più “grottesca” delle Isole Ioniche della Grecia. E comunque il colore dell’acqua della Grotta Azzurra di Capo Palinuro merita una visita.

Il promontorio è molto bello: imponenti pareti strapiombanti si aprono sul mare blu in una sequenza che ricorda le ali di una farfalla perché ci sono continue punte e rientranze. Il colore del ferro prevale su quello chiaro della roccia e ovunque si intravedono fori più o meno grandi che fanno esclamare a Claudia: ”ma questo capo è tutto bucherellato!”

Riusciamo ad origliare le spiegazioni della guida di turno che con una mano governa il timone del suo gozzo e con l’altra indica ai suoi ospiti paganti dove volgere lo sguardo: c’è una parete che, cito testualmente, ritrae l’urlo di Munch oppure il fantasmimo di Ghostbusters, perché due fori appaiati sovrastano una cavità più grande che sembra, appunto, una bocca urlante. La guida continua dicendo che era di cattivo presagio per i naviganti che superavano il capo. Noi passiamo tranquillamente oltre perché tanto abbiamo il nostro cornetto rosso porta-fortuna trovato sulla spiaggia del buon sonno di Portici.

Il faro domina l’intero promontorio e fa capolino diverse volte mentre noi costeggiamo a pochissimi metri dalle scogliere rocciose: evitando la giostra di barchette a motore che schizzano in tutte le direzioni, ci teniamo il più vicini possibile alle rocce in modo da apprezzare il dolce sali-scendi del mare ed il rilassante gorgheggio delle onde che si infilano in ogni anfratto. 

Sopra uno degli ultimi speroni rocciosi si ergono i resti di una torre di avvistamento e poco oltre un isolotto convoglia il traffico a motore dentro un imbuto che ci desta qualche preoccupazione perché l’acqua ribolle più del previsto e soprattutto perché l’aria diventa irrespirabile per alcuni lunghissimi minuti. Subito dietro si apre la Spiaggia del Buon Dormire, dove faremmo volentieri una pausa se la scarpata retrostante non fosse così incombente da farci subito temere che si trasformerebbe di un riposo eterno.

Proseguiamo quindi verso La Mola, un monumentale panetto roccioso che raggiunge i 140 metri di altezza sul livello del mare e che è impreziosito da una serie di piccole cavità tra le due spiagge che lo delimitano. C’è però talmente tanto traffico di motoscafi, gozzi, pattini e qualche canoa gonfiabile in balia del vento che preferiamo restare un poco distanti. Incrociamo un motoscafo color petrolio che ci colpisce molto perché ricorda le case mobili dei sinti giostrai, quelle che una volta giunte a destinazione si allargano e allungano in più parti: questo ha la poppa scomponibile che appunto si allarga per far posto al tavolo da pranzo e si allunga per creare una sorta di trampolino per i tuffi. E niente, l’unica cosa davvero ammirevole è lo specchio acqueo in cui ha gettato l’ancora: l’acqua è davvero di un colore così invitante che appena sbarchiamo ci facciamo subito un’altra nuotatina.

Troviamo un tratto di spiaggia libera incuneata tra due chioschi con ombrelloni: consumiamo un veloce apericena a base di patatine, birra e cedrata e poi ritorniamo ai kayak per controllare che l’animata partita di pallone in corso tra nove ragazzini scalmanati non si concluda con una doccia di sabbia sui tappi dei gavoni. Invece sono nove ragazzini scalmanati e divertentissimi che fanno tutti da portiere e da arbitro e che coniano un termine mai sentito prima: trastami, fidati e passami la palla, trastami! Stanno avanti: non è manco un anglicismo, ma una rivisitazione italiana di termini inglesi! Geniali questi giovani d’oggi!

Il tramonto è un po’ rovinato dalla lezione di zumba dello stabilimento accanto al nostro e da un fuoco vacante appiccato dal gestore del bar per bruciare i cartoni, che ci ricorda quello acceso ieri sera dai ragazzini rimasti a schiamazzare in spiaggia fino a tardi. Ma almeno quello era controllato a vista dai genitori e protetto da un mattone cavo ripescato dal mare, questo invece è abbandonato a se stesso e troppo vicino al bosco retrostante e ci tiene per qualche attimo col fiato sospeso.
Ma quando cala il buio cala anche la fiamma.  

Giovedì 5 agosto 2021 – 19° giorno di viaggio
Spiaggia a nord di Capo Palinuro – Foce del Bussento: 21 km
Sereno – vento forte e mare mosso

L’imbarco è più impegnativo del solito.
C’è un’onda che rompe sulla battigia con un fragore più forte man mano che trascorrono le prime ore del mattino. Ci saremmo dovuti imbarcare alle sei per trovare il mare ancora calmo, ma a quell’ora non eravamo ancora svegli: e se ci fossimo imbarcati alle sei, invece che col nostro solito ritardo, non avremmo avuto modo di sperimentare nuove tecniche e, per di più, di dare spettacolo in spiaggia. 

Prima aiutiamo Claudia a prendere il mare, dandole una bella spinta per superare quella fatidica onda di dumping. Poi ci prepariamo noi. E nel mentre, un signore che passa di lì commenta sarcastico: “E mo’ che avete lanciato lei, a voi chi vi lancia?” In effetti, dobbiamo cambiare strategia. Prima mandiamo fuori il kayak di Mauro, vuoto. Poi Mauro aiuta me a superare i cavalloni ed infine ci raggiunge a nuoto. Risale un po’ ansimante e svuota il kayak dalla poca acqua con la pompa di sentina a mano. Il tutto richiede una mezz’oretta e quando iniziamo a pagaiare vero sud si è creato un bel capannello di spettatori.

Ci dirigiamo col vento in poppa lungo la costa rocciosa, segnata tanto da una bella serie di archi rocciosi quanto dalla strada litoranea che si insinua fin sotto la Torre di Capo Grosso e che in un punto è stata rosicchiata dal mare e ricostruita con la solita muraglia di massi giganti.
Puntiamo poi decisi verso Punta degli Infreschi perché il vento continua a crescere e a sospingerci con decisione verso il suo capo frastagliato. Passiamo una serie di belle baiette di sabbia bianca raggiungibili solo dal mare e dove i turisti vengono “scodellati” dai gozzi locali, oggi molto meno numerosi del solito perché il mare è grosso. 

Le boe di delimitazione della riserva naturale non vengono rispettate da nessun natante a motore, tanto meno dai barconi delle visite guidate, che tagliano proprio sulla punta rendendo la nostra navigazione ancora più movimentata.
Entriamo per una breve sosta nella ridossata Baia degli Infreschi.

La prima ed unica spiaggia di sabbia è completamente intasata di bagnanti che si danno regolarmente il cambio salendo e scendendo dai barconi. Accanto borbotta un barcone più grande degli altri con la bandiera dei pirati issata a poppa e con un castello imbandito di una coppia di barbeque in ferro nero: il pirata tiene il motore sempre acceso, forse per i frigoriferi o per qualche altra diavoleria, e quella dose di idrocarburi inalata nel cuore della riserva ci sembra proprio uno sgarbo antipatico. Sarà pur vero che l’Italia è un paese dedito al turismo balneare ma più che naturale questa è diventata una riserva commerciale!

Noi troviamo rifugio nel triangolino di ciottoli bianchi che si apre subito oltre, tra una serie di pareti rocciose lavorate dal mare e dal vento lungo le quali ci regaliamo subito una bella nuotata, rinfrescati dalle risorgive di acqua dolce che rendono non solo più bassa la temperatura ma anche più opaca la superficie del mare verde smeraldo.

Finita l’assordante partita di pallone in acqua che otto bambini indiavolati vengono a giocare proprio sulle poppe dei nostri kayak, riprendiamo a pagaiare nel vento. E’ ancora forte ma spira sempre nella nostra stessa direzione. La visibilità è ottima e le montagne della Basilicata, che raggiungeremo solo domani, sono ricoperte da una fitta coltre di nubi bianche e paffute, sopra le quali si sono adagiate delle spettacolari nubi lenticolari che osserviamo a lungo nella nostra corsa sul mare. 

Costeggiamo il resto della riserva a spron battuto e in un momento siamo a Scario, piccolo borgo marinaro tra i più pittoreschi della zona, con un basso faro bianco che occhieggia tra le prime case ed un campanile a più livelli come se fosse stato sopraelevato nel tempo.

Sbarchiamo per un’altra breve sosta nel porticciolo turistico, accanto ad una rastrelliera ricolma di kayak di varie marche, modelli e colori: ci sediamo al bar del porto per un gelato ed una birra e assistiamo ad una animata partita di briscola tra i vecchietti del paese, una bella dozzina di testoline bianche asserragliate attorno ai due tavolini appaiati sul lungomare-belvedere.

I negozi sono ancora tutti chiusi perché in estate aprono solo un paio d’ore al mattino e poi dal pomeriggio inoltrato fino a mezzanotte. Invece delle vetrine, noi ci incantiamo sotto una pianta di bignomia dai grandi fiori arancioni che sale imponente su per i tre piani di un palazzetto in pietra.

Allo scoccare delle cinque riprendiamo il mare, ma ormai il vento ha ridotto la sua forza e le sue ultime morbide folate ci accompagnano gentilmente fino alla foce del fiume Bussento. La superiamo di poco e adocchiamo un bel filare di pioppi che ancora vengono fatti ondeggiare dal vento: accanto cresce un maestoso albero di gelsi neri e già sogniamo di montare le tende all’ombra dei suoi rami ampi e bassi. Invece, poco prima di noi, sopraggiunge un gruppetto di africani che occupa quel bel cerchio d’ombra con cucina a gas, mercanzie varie e tappeti per la preghiera della sera.

Non facciamo in tempo a sistemare i kayak sulla spiaggia di ciottoli che si avvicinano due simpatici canoisti napoletani, Monica ed Arturo, in vacanza nel Cilento per l’intero mese di agosto. Ci chiedono informazioni sui luoghi e sui venti ma noi siamo appena sbarcati e non ci siamo ancora ambientati. Visto che il ristorante da loro stessi suggerito si trova oltre il porto di Policastro Bussentino, sono così gentili da offrici un passaggio in auto. Finisce che restano a cena con noi e la serata trascorre in un fiume di chiacchiere e risate e racconti canoistici.

Venerdì 6 agosto 2021 – 20° giorno di viaggio
Foce del Bussento - Acquafredda: 18 km
Sereno – vento in aumento F5 con mare stato 4 (onde continue!)

Monica ed Arturo ci raggiungono sotto il gelso nero per la seconda colazione della mattina assolata. Non arrivano certo a mani vuote, ma con un bel vassoio ricolmo di paste napoletane: un delizia di inizio giornata!
Li raggiungiamo poi nella foce del fiume, dove hanno lasciato i loro due kayak e da dove si imbarcano per accompagnarci per un breve tratto. 

Il vento nel frattempo ha ripreso a soffiare con la stessa decisione di ieri, ma in breve capiamo che sarà ancora più deciso del giorno prima. All’altezza di Capitello, infatti, il mare si imbianca di lunghi cavalloni spumeggianti ed i due amici scelgono saggiamente di tornare indietro. Noi invece vogliamo raggiungere almeno Villammare, sperando di trovare un piccolo ridosso dove sbarcare senza penare troppo tra le onde frangenti.
Oltre la torre privatizzata che campeggia al centro del paese scoviamo una caletta pure privatizzata che sembra fare al caso nostro: nonostante il mare grosso, lo sbarco non è poi così impegnativo.

La collina di fronte brucia, come ieri sera bruciava la vallata alle spalle di Policastro: alte fiamme rosse feriscono i boschi e lasciano indelebili segni neri sulle fiancate delle alture già tanto martoriate. E’ un continuo: se non ci sono più le fiamme rosse, ci sono le macchie nere, o ancora i monconi degli alberi bruciati nelle stagioni precedenti. Ogni collina ed ogni montagna ha avuto il suo incendio. 

Sul mare, invece, il bosco cresce tutto inclinato verso il blu: i venti dominanti piegano anche i tronchi più longevi. Pranziamo all’ombra della macchia mediterranea che cresce rigogliosa proprio sopra la scogliera e, dopo un pisolino rivitalizzante, torniamo a guardare il mare: adesso i frangenti sono ancora più frequenti ed estesi ed i cavalli bianchi della mattina sono diventati una mandria imbizzarrita. Andiamo al bar per una birra ed un gelato.
Aspettiamo che il campanile rintocchi le cinque del pomeriggio: secondo le previsioni alle cinque il vento cala. Ed infatti cala.

Ci rimettiamo subito in viaggio e tagliamo al largo la profonda insenatura di Sapri, superiamo il porto turistico e raggiungiamo lo scoglio abbellito dalla piccola statua in bronzo della spigolatrice di Sapri bellamente distesa a guardare il mare. Noi il mare lo guardiamo con un certo sospetto perché le onde riprendono a crescere, non per il vento ma stavolta per la “lavatrice” che sempre si genera sui capi, quando le onde di ritorno si intrecciano a quelle in arrivo. Per una buona oretta navighiamo col programma della lavatrice impostato sulla centrifuga dolce. Non è neanche facile godersi il panorama, in questo tratto davvero stupefacente: alle rocce nere delle scogliere si sovrappongono i pini verdi della boscaglia, sovrastati a loro volta dalle pareti alte e strapiombanti della montagna retrostante, segnata dalle arcate in pietra della strada costiera.

Dopo un’altra delle numerosissime torri di avvistamento, alcune in ottimo stato di conservazione ed altre in decadente ma dignitoso declino, si apre la baia di Acquafredda. E’ una ridente località marinara con un campanile dal tetto rossastro che spunta al centro del paese a mezza costa e con un albergo maestoso sulla spiaggia che per fattura e colori ricorda quasi un paese alpino. Il tratto di spiaggia verso sud è libera, anche se ancora punteggiato di ombrelloni colorati. Ci avviciniamo per capire meglio dove sbarcare. E allora notiamo che quella lunga rete verde tirata proprio in mezzo alla spiaggia serve per delimitare e proteggere il nido di una tartaruga Caretta caretta! Meraviglia nella meraviglia!

Adesso si tratta solo di riuscire a sbarcare senza arrecare danni a persone e cose. I bagnanti che nuotano tra le onde quasi non si avvedono dei nostri tre kayak che si avvicinano a riva. Anche qui il dumping è notevole e dobbiamo sbarcare con attenzione, uno alla volta: Mauro è ovviamente il primo e con la sua solita eleganza scende con un saltello dal kayak proprio nel momento di massima calma. Poi arriva il mio turno e devo aspettare che passi un doppio treno d’onde che erode ancor di più la battigia, in quel punto già alquanto ripida. Poi aiutiamo Claudia con indicazioni sul tempo da tenere tra le onde. Una volta in spiaggia ci abbracciamo felici perché è stato sinora lo sbarco più emozionante.

La famigliola sdraiata sui ciottolini neri accanto al nostro punto di sbarco è impegnata in un gioco antico che ho sempre amato, quello del bastoncino verticale infilato in un monticello da erodere a turno senza farlo cadere. Quando capiscono che facciamo fatica a risalire i tre gradini di spiaggia per tirare in secca i kayak pesanti, interrompono il gioco e si precipitano ad aiutarci: anche la bimbetta di cinque o sei anni si rende utile e prende il bordo della mastra proprio accanto alla mano del papà!

Ancora grondanti di acqua e spruzzi, ci dirigiamo al nido della tartaruga, presidiato da un nugolo di volontari del WWF. Conosciamo allora Valentina, la biologa che come noi fa parte delle Sentinelle del mare in kayak. Ci racconta un sacco di cose sul nido, sulla schiusa delle prime sei uova, sull’attesa degli altri 99 piccoli, sulla fatica di controllare che di notte vengano spente tutte le luci e che non si faccia troppo rumore in spiaggia. Resteremmo ore intere a parlare ma abbiamo ognuno diversi impegni, lei con il cambio della guardia al nido e noi con la cena. A Villammare abbiamo comprato dei tranci di pizza per non dover accendere i fornelli ed essere più veloci nello sfamare la truppa, qualunque fosse stato l’orario di arrivo: scelta azzeccata, così possiamo tornare a guardare il nido. 

La spiaggia di ciottolini scuri e levigati ha un piccolo triangolo di sabbia fine, scelto dalla tartaruga per deporre le uova. Dove noi montiamo le tende, invece, i ciottoli sono più grandicelli, come noccioli di oliva: a camminarci sopra si muove tutta la spiaggia e una volta distesi in tenda ci rendiamo conto che i passi lontani degli ultimi curiosi risuonano vicini come se ci stessero camminando sui kayak. Chissà se questi rumori saranno percepiti anche dai piccoli di tartaruga: stanotte, in effetti, nessuno mette il becco fuori dal nido!

Sabato 7 agosto 2021 – 21° giorno di viaggio
Acquafredda – San Nicola Arcella: 25 km
Soleggiato – mare piatto con calma di vento

Il risveglio è lento perché il sole arriva tardi sulla spiaggia di Acquafredda.
Ieri sera erano persino atterrati sulla spiaggia più a nord due bei parapendio colorati e troviamo il manifestino promozionale nel baretto di legno a strisce bianche e azzurre dove andiamo sia per la crema di caffè di rito che per il rifornimento di acqua potabile.
Salutiamo il nido e partiamo senza la minima difficoltà: la spiaggia si è riempita di bagnanti ed il mare di testoline, come nella minestrina di Mafalda. E’ proprio l’ora giusta per prendere il largo.

“Scogliettiamo” per l’intera mattinata. “Scogliettare” è la nostra strategia di navigazione preferita, non solo perché ci godiamo la costa a pochi metri di distanza, entrando in ogni anfratto e in ogni grotta, ma anche perché ci sembra che il tempo passi in un istante. Sopra ogni capo c’è una torre e dietro ogni capo c’è un altro tratto di costa straordinario.
La Basilicata tirrenica è davvero meravigliosa!

Scogli neri sostengono pini verdi e la scogliera è una sequenza di antri grandi e piccoli, con stalattiti e occhi e bocche aperti sul mare. Solo ad un tratto scorgiamo un orrendo belvedere gittante che dall’altezza della strada litoranea si sporge sul blu profondo: è abbandonato, e chissà perché è stato costruito. 

Poi c’è una torre più imponente delle altre che è stata non solo privatizzata ma anche abusivizzata. Intorno però si susseguono giardini ben curati di ville lussuose nascoste nel verde. Poi il paesino ben curato e ben mimetizzato di Maratea ed un porticciolo nascosto dietro una doppia barriera di tetrapodi altissimi: c’è un andirivieni pazzesco che per un po’ ci fa ripensare all’attraversamento del porto di Napoli. Almeno là avevamo incrociato solo un aliscafo e la nave Marina Piccola: qui è tutto un entrare e uscire di gozzi, motoscafi e barche a vela che quasi non troviamo il tempo ed il modo di passare.

“Scogliettiamo” ancora fino alla Spiaggia Nera di Maratea.
Sbarchiamo felici. E’ uno dei luoghi più incantevoli del viaggio.
I ciottolini piccolissimi e nerissimi si infuocano al sole di mezzogiorno.
Non restiamo soli a lungo ma abbastanza per pranzare in assoluto silenzio e per farci un secondo shampoo biodegradabile nelle acque turchine della baietta. E’ quasi un peccato dover lasciare questa cala magica.

Poi è la volta del Cristo di Maratea, imponente sul picco montuoso, con le braccia aperte verso il cielo e lo sguardo rivolto al mare. Risalta bianco e slanciato da giorni, col vento che ha pulito l’aria e ci ha permesso di vedere le montagne della costa calabrese già da molto lontano.

Riprendiamo la navigazione pomeridiana con una prima breve visita alla Grotta della Sciabella, un lungo budello scavato dal mare nella scogliera che arriva in una spiaggetta incantevole sopra la quale la volta dell’antica grotta è ormai franata: i raggi del sole penetrano attraverso la boscaglia ed il colpo d’occhio è mirabile. Solo che c’è un via vai continuo di kayak, sit-on-top, stand-up-paddle e pure di alcuni nuotatori che si avventurano pinneggiando nell’oscurità, quasi invisibili per chi pagaia: un ingorgo costante, aumentato dal fine settimana, che ci fa desistere dal visitare le altre eventuali grotte della zona.  

A Castrocucco c’è il riconoscibile profilo dello Scoglio U Tuppu, privatizzato dai due lidi attigui ricavati in vecchie case in pietra di bella fattura, una dotata di una coppia di torrette che scendono fino al mare e che ci fanno pensare ad uno strano mulino. Le montagne si abbassano e le colline diventano morbide e un po’ spoglie. Oltre l’ultimo capo si apre la foce di una grande fiume, che poi scopriamo essere il Noce, e da lì la lunga distesa di sabbia e stabilimenti di Praia a Mare.

Mauro è rimasto senza sigarette: chiediamo informazioni ai due signori sul pattino. Certo, il tabacchi è laggiù, all’incrocio a destra. Indicazioni stradali perfette se non fosse che siamo tutti in mare, noi in kayak e loro sul pattino. Dopo varie altre domande con risposte sempre più strampalate, scoviamo finalmente il tanto sospirato rivenditore di dipendenza tabacchera e sbarchiamo per gli acquisti di rito.

Io resto in spiaggia a giocare coi ciottoli per realizzare altre due mani cariche di sassolini rossi e verdi. La mia passione, specie quando non c’è nessuno a mettermi fretta!

L’isola di Dino ci guarda da lontano ma poi è subito vicina. Ci ricordiamo che si passa anche verso riva, sebbene il passaggio sia davvero molto stretto e molto basso, chiuso tra scogli affioranti e boe di ormeggio. Almeno qui le barche sono in mare: lungo la spiaggia di Praia, invece, abbiamo visto una cosa che ci ha fatto raccapricciare. Delle gru cingolate dotate di bilancino e due fasce sollevano dalla spiaggia i motoscafi, già con i conducenti al timone, li spostano fino alla battigia e li adagiano dolcemente in mare. Schiacciando sotto i cingolati i miei adorati ciottolini!

Costeggiamo un breve tratto dell’isola di Dino, sperando di poter sbarcare nei pressi dell’ormai abbandonato villaggio mediterraneo di casette curiose, con un doppio cono bianco che nelle intenzione del costruttore avrebbe dovuto forse ricordare dei piccoli trulli e che invece a noi sembrano delle copie sputate di ciclopiche supposte. Chissà perché l’avranno chiuso, ma soprattutto perché l’avranno costruito!

Ci sarebbe una Grotta Azzurra anche sul capo occidentale dell’Isola di Dino e quest’ora del tardo pomeriggio potrebbe offrire la luce migliore per una visita, ma la coda di barconi all’ingresso ci fa presagire un’esperienza forse peggiore dell’omonima grotta di Capo Palinuro. Peccato, questa pressione turistica concentrata nei soli mesi estivi di luglio ed agosto rovina un po’ tutto, il paesaggio, l’ambiente e l’umore. Dovremo magari tornare in visita fuori stagione, ma temo che le spiagge finalmente libere da ombrelloni e bagnanti possano mettere ancor più in risalto le colate cementizie della costa (perché di fronte al residence dei ciclopi hanno costruito pure un villaggio multicolore che assomiglia tanto ad un ospedale psichiatrico!)

Meglio pensare al nostro campo per la notte: in fondo, un viaggio in kayak ci offre l’occasione unica di scoprire meglio il paese, le persone e anche noi stessi!

Scegliamo di sbarcare sull’ultimo tratto di spiaggia libera di San Nicola Arcella, vicino alla passerella del gozzo che recupera i bagnanti dalla cala attigua dell’Arcomagno, raggiungibile da terra solo tramite un sentiero impervio che si arrampica sulla scogliera e che inizia con una serie infinita di scalinate in legno ed acciaio corten (anticorrosione).

Per la prima volta dall’inizio del viaggio riusciamo a vedere il sole che si tuffa in mare, proprio accanto al lontano ma ancora ben visibile Capo Palinuro. Il tramonto si tinge subito di arancio, rosso ed amaranto, e presto arriva il momento della cena. 

Cerchiamo un ristorante in uno dei lidi della spiaggia e lo troviamo solo dopo il terzo inutile tentativo: stanno tutti chiudendo e l’unico rimasto sembra anche il più accroccato. Le ordinazioni sono lente ed il conto arriva senza il totale: ma le fritture è superlativa e siamo contenti di avere festeggiato in tal modo la scelta di Claudia di restare con noi per un’altra settimana!

Domenica 8 agosto 2021 – 22° giorno di viaggio
San Nicola Arcella – Spiaggia a nord di Diamante: 21 km
Soleggiato – mare poco increspato

Ci sveglia una famiglia “Trattagasu” (gratta-formaggio in sardo, l’equivalente isolano della famiglia Brambilla continentale) che alle sette del mattino si apposta urlante proprio davanti alle nostre tende per aspettare il battellino delle otto per la Spiaggia dell’Arcomagno.
La seconda colazione al bar del lido è oltremodo necessaria.

La colonna sonora è la più bella del viaggio: i più grandi successi di Lucio Dalla accompagnano così la stesura arretrata del diario di viaggio degli ultimi tre giorni. Finisce che al lido ci intratteniamo fino all’ora di pranzo, ora speciale che onoriamo con una mini-porzione di insalata e patatine: ci imbarchiamo alle due del pomeriggio, più tardi del nostro solito tardi!

Ci infiliamo subito nella cala attigua per visitare prima l’arco naturale minore e poi l’Arcomagno, un maestoso arco roccioso che nasconde una piccola spiaggia superaffollata e che custodisce i nostri ricordi dei raduni canoistici di molti anni fa. Mauro sbotta al primo tentativo di immortalarlo in una foto-ricordo del luogo: “Se non andiamo subito via da qui, rischio di trasformarmi in una coltura idroponica”.

Oltre il promontorio basso e roccioso di Capo Scalea si aprono una serie di piccole calette con delle spiagge minuscole: in una di quelle, dopo appena 6 chilometri dalla partenza, facciamo una sosta per la merenda. Il signor Nicola che di primo mattino ci ha venduto frutta e verdura fresca, ci regala anche due chili di pesche gialle perché, a suo dire, ormai sono buone solo per la macedonia. In realtà sono ancora integre e buonissime.

Subito oltre il piccolo paese antico di Scalea, circondato da costruzioni moderne di impareggiabile bruttezza, si allunga una costa sabbiosa bassa e lineare che ci ricorda quella di Praia a Mare.
Comprese le gru sposta-barche. 

Con la sciagurata differenza che qui sono visibili tre vasti incendi attivi a tre diverse altezze: uno proprio sul mare in fondo alla baia, uno in collina in una vallata tra due paesi, ed il terzo sul picco della montagna più alta. Il Canadair 24 dei Vigili del Fuoco lavora senza sosta per spegnere i vari focolai e solo verso la fine del lavoro viene affiancato da un elicottero col pallone anti-incendio che fa la spola tra le colline ed il mare. Entrambi i mezzi ammarano a poche centinaia di metri dalla battigia, con evoluzioni degne di piloti esperti e specializzati. Il canadair, in modo particolare, esegue almeno una ventina di interventi e mentre noi pagaiamo lungo la costa possiamo osservare tutte le varie fasi di carico e scarico dell’acqua marina. L’incendio più contenuto ma più visibile è quello più vicino al mare ed accerchia le Rovine di Cirella, un vecchio borgo medioevale che adesso è completamente annerito. Mai prima d’ora ci era capitato di pagaiare così vicini ad un canadair in azione e per prudenza ci avviciniamo molto alla riva, passando all’interno delle boe arancioni che delimitano le acque balneari. Dispiace ammetterlo, però le sue continue evoluzioni ci tengono occupati per tutti gli oltre dodici chilometri di litorale sommerso di stabilimenti balneari ultra-super-mega-affollati, oltre che da un paio di campeggi altrettanto frequentati e protetti da una serie di collinette di sabbia di riporto alte quasi quanto gli alberi che offrono l’ombra a camper e roulottes. 

Gli unici diversivi sono rappresentati prima dalla ampia foce del fiume Lao, in prossimità del quale la bella spiaggia incoronata da canne e tamerici è occupata da un gruppo di pickup di pescatori parcheggiati giusto sulla battigia accanto alle canne da pesca; e poi dal ritrovamento in mare di Nino il Pinguino, uno di quei giochi gonfiabili appesantiti sul fondo che una volta lanciati in aria ricadono sempre in piedi! Nino il Pinguino sbarca con noi di fronte alla piccola Isola di Cirella e ci intrattiene prima di cena. Il sole tramonta proprio sulla torre che domina l’isoletta e in una mezz’ora la lunga spiaggia di ciottoli si libera dei bagnanti: restiamo solo noi, Nino il Pinguino e le stelle nel cielo!

Nessun commento:

Posta un commento

Solo gli utenti con account Google possono inserire commenti. Grazie.