🧠Giovedì 16 ottobre 2025
👣 Quinta settimana di scuola sull'isola
⭐ Bagni di sole e di sale
Martedì scorso ho fatto il bagno.
Il mare era calmo come una tavola, uno specchio argenteo così immoto che rifletteva il cielo azzurro, le nuvole rosate e persino il volo radente dei gabbiani.
Per due o tre giorni l'isola è rimasta sospesa in una calma quasi irreale.
Lungo il tragitto che mi porta a scuola, potevo assaporare il profumo dolce del pane appena sfornato, frammisto a quello più acido della bella di notte, che qui riempie in maniera spontanea i bordi della strada di folti cespugli ricolmi di fiori gialli e viola.
L'aria era così ferma da non far svolazzare nemmeno un granello dal lavoro certosino e frenetico dello spazzino, che ramazza di buon mattino con una scopa di saggina (perché sull'isola usano ancora le scope di saggina!) i piccoli spiazzi nei pressi dei bidoni della raccolta differenziata (perché sull'isola non è ancora arrivato il sistema porta a porta!).
L'acqua aveva assunto una colorazione vivida ed invitante, illuminata dai raggi solari fino in profondità , con gradazioni difficili da definire ma che mi han fatto come sempre pensare ad un acquarello, carichi entrambi, acqua e pittura, di arte e di grazia.
La cala che si apre proprio sotto la scuola, e che scorgo anche dalla veranda della casetta, mi è sembrata ancora più bella del solito, così seducente allo sguardo da indurmi a sperimentarla anche col resto del corpo.
Così, prima di uscire, ho afferrato al volo la piccola sacca del nuoto (costume, maschera e scarpette da scoglio) e finita la scuola mi sono regalata una doppia immersione nella bellezza e nella tradizione isolana, nuotando per un'oretta tra mare e storia.
Cala dell'acqua è una delle baie più rinomate dell'isola, frequentata durante la stagione estiva da una fitta schiera di turistə che si sistemano con teli e ombrelloni sulla stretta scogliera rimasta agibile ai piedi della vecchia miniera.
La struttura industriale ormai abbandonata, cadente e arrugginita, ha rappresentato per molto tempo un fiore all'occhiello per l'isola di Ponza, come testimoniano le maioliche commemorative disseminate lungo il percorso: negli anni ‘30 del Novecento, infatti, è stato individuato nella zona il primo ricco giacimento di bentonite in Italia, un minerale dalle molteplici applicazioni industriali che veniva trasportato con motovelieri alla raffineria di Gaeta. Sul fondo della baia, inoltre, giace il relitto del Kastell Luanda, una nave cargo impiegata proprio per il trasporto della bentonite, naufragata nel 1974 e da allora divenuta un’altra attrazione per gli appassionati di immersioni.
Freddolosa come sono sempre stata, non sapevo se bagnarmi solo i piedi o se spingermi oltre la scogliera semi sommersa, ma non ho saputo resistere al richiamo di un mare così carico di storia e di storie e mi sono lentamente immersa nella placida piscina naturale.
Ho potuto scorgere, adagiate sul basso fondale, solo alcune putrelle arrugginite del vecchio pontile e di certo il relitto sarà ben più affascinante: in rada, però, c'era la bettolina dell'acqua e non ho potuto esplorare granché i dintorni. Dovrò ritornare.
Pensavo che il nome della cala derivasse proprio dal fatto che qui attracca la nave dell'acqua ma, come spesso accade sull'isola, l'origine è ben più risalente nel tempo.
E così scopro da una veloce ricerca on-line che Cala dell’Acqua deve il suo nome alla presenza di una sorgente d’acqua dolce che, in epoca romana, alimentava un complesso sistema di acquedotti: "attraverso una rete di cunicoli scavati nella bentonite, l’acqua veniva raccolta e convogliata fino alla zona portuale dell’isola, rappresentando un capolavoro di ingegneria idraulica." (ViviPonza.com).
Pure il tramonto, quella sera, è stato indimenticabile, in tutto analogo a quello letto nel romanzo svedese che ho tenuto sul comodino in questi ultimi giorni: "Il sole era tramontato rosso incandescente un momento prima, ma aveva lasciato dietro di sé una scia di colore che bastava a tingere tutto il cielo [...] Nel frattempo l'acqua [...] si era trasformata in uno specchio nero, laggiù sotto le montagne scoscese; e su quel nero avanzavano striature di sangue rosso e d'oro splendente". [L'imperatore di Portugallia di Selma Lagerlöf]
Da ieri invece è tutto cambiato.
Il cielo s'è oscurato, una pesante foschia nasconde il Monte Guardia, il picco più alto dell'isola, e una grigia cortina di pioggia cancella dalla vista Palmarola e parte dell'orizzonte: mi sembra di essere sospesa su una delle pietre volanti di René Magritte. Il vento, che nella quiete delle ultime giornate sembrava essere stato per sempre allontanato dall'isola, ha ripreso a soffiare con tale violenza che in classe si sentono i suoi sinistri ululati, talmente forti da sovrastare spesso la spiegazione della lezione.
Il mare si tinge di un nero affatto rassicurante e comincio a temere che il traghetto potrebbe non partire: controllo gli avvisi sul sito della compagnia di navigazione ed in effetti per le condizioni meteorologiche sfavorevoli (riassunte in "condimeteo avverse") parte una nave diversa, quella che dicono essere più stabile. Ma deve essere anche molto più vecchia, perché i rumori che salgono dalla struttura non sono affatto confortanti: la nave dondola persino ora che è attraccata alla banchina principale del porto, non oso immaginare là fuori in mare aperto che sorte toccherà al vecchio scafo e a me povera passeggera imbarcata.
Mi avvicino desolata al gabbiotto per acquistare il biglietto: mi conforta un po' poter mostrare all'impiegato la mia nuova tesserina da pendolare, che dà diritto ad uno sconto considerevole sul prezzo di ogni tratta.
Magra consolazione.
Il cielo si chiude attorno al porto e nasconde sia Zannone che Gavi, il piccolo isolotto quasi attaccato all'estremità dell'isola: la pioggia è così fitta che la visuale è assai ridotta e le goccioline leggere "azzuppaviddrano", come direbbe il mai dimenticato Camilleri, fluttuano in ogni direzione e per il forte vento corrono così orizzontali da dare l'impressione che il mondo stia per capovolgersi.
Non vorrei proprio lasciare il molo, ma ho preso un giorno di permesso a scuola per partecipare ad un corso di aggiornamento sul kayak da mare della Federazione Italiana Canoa Turistica in quel di Pedaso, ridente cittadina della costiera marchigiana, e ogni spostamento dall'isola richiede almeno una giornata di viaggio: quindi, se voglio arrivare in tempo a destinazione, devo per forza affrontare oggi le tre ore di questa traversata movimentata.
Avrei voluto finire di scrivere questa paginetta di diario sul traghetto, ma non mi riesce di tenere a bada la nausea da naupatia (termine che ho appena scoperto e che nobilita questo senso di vulnerabilità che da sempre mi assale quando metto piede su un'imbarcazione che non sia un kayak da mare!).
Ricorro allora al rimedio per me infallibile e più volte testato, quello che mi mette in pace con la coscienza e mi fa dimenticare il cigolio dell'oblò sotto cui mi sono seduta e che emette su ogni cavallone uno stridore preoccupante, tipo TraTraTTra-StraTTaTTTra. Dormo.
Mi addormento reclinata sullo zaino e anche se all'arrivo mi sveglio con un leggero torcicollo, saltello giù dal traghetto con la felicità bambina di poter finalmente toccare terra!
![]() |
| Cala dell'acqua in una bella giornata di sole |
![]() |
| Cala dell'acqua in una giornata di pioggia |
![]() |
| La bentonite (sula sinistra) e alcune strutture (sulla destra) della vecchia miniera |
![]() |
| La scogliera lavorata di Cala dell'acqua |
![]() |
| La manina di Cala dell'acqua |





Nessun commento:
Posta un commento
Solo gli utenti con account Google possono inserire commenti. Grazie.