Venerdì 23 luglio 2021 –
6° giorno di viaggio
Spiaggia Verde di Capo
Miseno - Bagnoli:
Le case che sovrastano
Il risveglio è quindi
tutt’altro che allegro ma riceviamo la visita a sorpresa di un canoista locale
che, passando vicino alla costa, ci ha notato ed è sbarcato per salutare e per
chiedere numi sul nostro giro: ad avere tempo, ci dice, lo farei anch’io, ma
dovrò aspettare la pensione.
Ci sentiamo un po’ vecchi ma decisamente privilegiati!
La foschia che ieri avvolgeva le isole ,oggi ricopre l’intera baia di Pozzuoli e ci lascia scoprire le sue bellezze una ad una, con la sorpresa di riconoscerle solo quando sono davanti alle nostre prue: in stretta sequenza passiamo il paesino di Bacoli, il tunnel scavato nel tufo dell’Isola Pennata, i giardini terrazzati e ben curati di Baia, le casine colorate affacciate sul golfo, il castello col suo faro rosso, la città sommersa e le terme di Lucrino e l’indimenticabile fermata della Circumflegrea...
Cerco e trovo le case degli amici di un tempo dove avevamo trascorso serate di
risate e confidenze, accompagno le pagaiate ai ricordi degli anni passati a
Napoli ad esplorare i dintorni in kayak, in moto ed in bicicletta, riconosco i
luoghi esplorati più e più volte: in quella spiaggia ho organizzato un corso di
kayak, in questa baia ho seguito un corso di archeo-sub, in questa insenatura
scendevo a leggere e riposare dopo una pagaiata in solitaria...
Attraversiamo il porto di
Pozzuoli con una certa emozione perché i traghetti in arrivo entrano in
derapata, senza mai accennare a rallentare, e quelli in uscita sembrano
immobili fino al momento prima di occupare la bocca di porto. Ci ritroviamo in
prossimità della luce verde, quindi a nostro avviso quasi fuori pericolo,
mentre all’improvviso compaiono un traghetto carico di camion, una bettolina
dell’acqua e un aliscafo turistico che costeggiando la diga foranea si era
celato alla nostra vista fino all’ultimo secondo. Claudia è la più
esterrefatta: mai visto tanto traffico in mare!
Facciamo così le prove generali per passare domani il porto di Napoli.
Oltre il paese vecchio di
Pozzuoli, in corso di completa ristrutturazione con risultati molto
promettenti, scoviamo un piccolo imbarcadero affollato di barchette tra le
quali sgattaioliamo per raggiungere la riva: da lì saliamo lungo la passeggiata
alberata e scegliamo la pizzeria del porto per il nostro primo pranzo a tavola!
Solo che la pizzeria non
serve pizze a pranzo: ci accontentiamo di un antipasto all’italiana con supplì,
crocchette, frittata di pasta, mozzarella in carrozza, verdure miste fritte e
una tripla porzione di zeppoline buonissime. E di un primo leggero a base di
scialatielli con puparuoli, pecorino e cozze: ottimi, solo un tantino salati!
Prima di ripartire
facciamo rifornimento d’acqua al distributore automatico: 5 centesimi a litro,
con la possibilità di scegliere tra naturale, leggermente frizzante e
frizzante, e di interrompere per un massimo di 30 secondi per il cambio della
bottiglia. Claudia ed io siamo talmente brave da non rovesciare neanche una
goccia e da azzeccare l’ammontare di spiccioli necessaria per riempire le
nostre bottiglie da un litro e mezzo: adoriamo queste innovazione tecnologiche
segno di grande civiltà!
L’acqua è ghiacciata e tornando ai kayak ci schiacciamo le bottiglie sul collo
e sulla fronte per trovare refrigerio all’afa estiva: nell’imbarcadero non si
muove una foglia e sudiamo sette camicie per rimetterci in mare.
La nostra meta oggi non è lontana e ci concediamo una serie di soste
fotografiche sotto ognuno dei moli di Bagnoli, lunghi e cadenti, abbandonati da
anni ma fieramente resistenti alle intemperie, allungati in mare come giganteschi
belvedere di cemento armato, in alcun modo valorizzati ma dal grande potenziale
simbolico. I piloni che escono dall’acqua creano una selva arrugginita e fatata
disseminata di infiniti passaggi, tutti intricati e suggestivi, ora illuminati
da una luce radente e rosata che ci tiene a lungo intrappolati tra i suoi
molteplici piani prospettici.
La baia è sempre
sormontata dall’imponente struttura industriale dell’ex Ilva, ormai dismessa da
anni, dalle sue ciminiere svettanti e dai capannoni della Nuova Città della
Scienza recuperata dal devastante incendio del 4 marzo 2013.
L’ultimo tratto della baia è interamente occupata da una distesa di migliaia di barche all’ormeggio: lo sciabordio degli scafi sulle onde genera una cantilena musicale molto accattivante, ipnotica e riposante, che rimaniamo ad ascoltare per qualche lungo momento di riposante relax. Passiamo cauti tra i canaletti delimitati dalle boe di ormeggio e ristretti dalle cime di ancoraggio: è un continuo avvicendarsi di gommoni e motoscafi, di mezzi marinai calati, di chiamate alle barchette di collegamento con la terraferma, di urla e schiamazzi e…
Preferiamo superare il ponte di collegamento con Nisida, l’isola da sempre sede
di un carcere minorile, e campeggiare sulla caletta di ciottoli scuri che si
apre sotto il belvedere del Parco Virgiliano: qui è tutto un via vai di
fotografi e fotografati che ci incuriosiscono assai. Chiediamo: preparano i
ricordi per “l’anteprima” dei diciotto anni, dei dieci anni, dei sei anni e giù
giù fino all’anteprima della nascita. Un magnifico pancione di otto mesi campeggia
sui nostri kayak fino ad oltre il tramonto, con varie pose artistiche tra
ciondoli evocativi, bavaglini ricamati e scarpette da neonato.
Quando cala l’oscurità e
pensiamo di essere rimasti finalmente soli, tracima sulla spiaggia una comitiva
di vocianti pensionati con tanto di brace, stereo e cinepresa…
Sarà un’altra notte
travagliata? Di certo meno della precedente, visto che ho un nuovo materassino
da spiaggia rosa shocking talmente grande che non sono neanche sicura di
riuscire a farlo entrare in tenda!
Sabato 24 luglio 2021 – 7°
giorno di viaggio
Bagnoli - Portici:
Notte insonne, altro che
travagliata!
Ai pensionati discotecari
si uniscono dei giovani urlatori che hanno pensato bene di sparare i fuochi
d’artificio esattamente sopra le nostre tende, che per fortuna non hanno preso
fuoco (al mattino abbiamo trovato la scatola usata proprio sopra il molo:
avranno scordato di portarla via!). Poi è il turno di una numerosa famiglia di
bagnanti notturni che chiamano a mitraglia il povero figlioletto: “Gianco vieni
in acqua, Gianco esci dall’acqua, Gianco asciugati, Gianco siediti, Gianco ridi”.
Il povero Gianco riesce ad averla vinta sugli adulti e a convincerli di
riportarlo a casa quando è ormai calata la luna piena (quasi piena: il
plenilunio è domani!) ed è già spuntata l’alba: la madre saluta baldanzosa tutta
la spiaggia, aggiungendo un sonoro “Ciao, ragazzi in tenda!” e a me scappa un
lungo saluto di ricambio della mia mano destra che attraversa tutta la tenda
col dito medio alzato!
Per pochi minuti si
sentono solo i cinguettii dei passerotti. Ma subito dopo compaiono le comari da
spiaggia che fanno domande a raffica a Claudia, già sveglia sul fare dell’alba,
con un tono di voce talmente alto che sembrano intenzionate a svegliare anche i
detenuti del carcere minorile di Nisida. E niente, usciamo dalla tenda stanchi
come cenci e lenti come bradipi iniziamo i preparativi: ci imbarchiamo alle
undici suonate!
Prima tappa: il cratere
vulcanico di Nisida, un maestoso anello di pietra lavica aperto sul mare con i
bordi interni digradanti e ricoperti di fichi d’india. Sostiamo solo qualche
minuto perché l’ingresso è vietato (non c’è manco un cartello ma lo dice il
portolano).
Seconda tappa: la Baia di Trentaremi, un’alta falesia di tufo dorato ai piedi
della collina di Posillipo, scavata in più punti dall’opera del mare e
dell’uomo. Anche qui non si potrebbe passare perché è stata da qualche anno
istituita l’Area Marina Protetta della Gaiola. Siccome però il traffico a
motore è indistintamente irrispettoso dei segnalamenti marittimi posti ai
confini della riserva, noi scegliamo di difenderci dal reticolo di rotte
imprevedibili pagaiando vicino alla scogliera.
Terza tappa: spiaggetta della Gaiola, una lingua di sabbia vulcanica
incastonata tra le scogliere. Quando ho vissuto a Napoli per quasi dieci anni,
oltre vent’anni fa, ci arrivavo spesso in kayak e ci passavo interi pomeriggi a
leggere sugli scogli. Ora è completamente libera da ombrelloni e bagnanti e
gioisco della scelta. Mauro è il solo a sbarcare per sostituire le batterie
improvvidamente scariche del GPS: il responsabile della riserva scende le
scalette per informarlo gentilmente che un’ordinanza comunale odierna vieta la
balneazione lungo l’intero litorale napoletano per livelli troppo alti di
inquinamento (non meglio specificato, quindi noi inventiamo un’invasione di
“vattelappesca-coli”).
Le tappe successive ce le
godiamo dal kayak: Marechiaro con i suoi bagni a palafitte, la villa
presidenziale Rosebery presidiata da una pilotina militare, il porticciolo di
Posillipo dove scendevo spessissimo in moto per guardare la città dal mare;
nella caletta sovraffollata di Villa Lauro sbarchiamo per una pausa pranzo
veloce, giusto il tempo di scattare un paio di foto al set cinematografico
della serie televisiva “Un posto al sole”.
Ci lasciamo ammaliare dalla vista dei palazzi colorati dai terrazzi tutti differenti fino
all’indimenticato Palazzo Donn’Anna, dove avevo scovato un perfetto rimessaggio
per il mio kayak (lui in un palazzo del settecento, io nei Quartieri Spagnoli).
Pensavo che mi avrebbe assalito la nostalgia, invece ogni ricordo legato a
Napoli è talmente bello che pagaiato con un sorriso beato stampato in viso!
Costeggiamo infine Mergellina,
Ora è giunto il momento di
affrontare il Porto di Napoli.
Il porto più grande che ci sia mai capitato di attraversare, più di quelli
siciliani che al confronto ci sembrano delle mere succursali. Il vecchio faro
dipinto di rosso potrebbe trarre in inganno perché è posizionato accanto alla
luce verde. La diga foranea, però, è stata allungata negli anni ed ora la luce
rossa di ingresso campeggia molto più in là, in una posizione che arrivando da
nord non agevola la visibilità all’interno del porto (visto che chi progetta i
porti non pensa mai ai canoisti!).
La nostra strategia è semplice: aspettare.
Aspettiamo che nessun traghetto o aliscafo o nave o portacontainer o altro
natante entri o esca dal porto. Aspettiamo per un po'. Aspettiamo finché
non entra un ultimo aliscafo. In un battibaleno siamo dall’altra parte,
protetti sotto la luce verde, proprio mentre dal molo interno, adesso visibile,
un piccolo traghetto raggiunge la bocca di porto, anche lui in un battibaleno.
Ma ormai siamo di là dal canale navigabile, in salvo. Tiriamo fiato ma sappiamo che non è ancora finita.
Adesso si tratta di costeggiare la lunga diga foranea che protegge i cantieri
navali e che sta cadendo a pezzi in diversi punti: al fondo c’è una seconda
bocca di porto da superare. Dopo una buona mezz’ora di navigazione su un mare che Claudia definisce “scapigliato”, per via dell’onda di ritorno che genera una
poderosa “lavatrice”, raggiungiamo finalmente la testa della diga foranea.
Adottiamo la
stessa strategia, visto che in questo caso la visuale è decisamente migliore:
ci portiamo tra le due luci rosse allineate, anche noi in perfetto allineamento,
e puntiamo il naso dei kayak qualche metro dentro.
“Frena, frena, frena” grido
all’improvviso, bloccando sul nascere ogni speranza di attraversare al volo: la
nave cisterna Marina Piccola avanza baldanzosa e ci taglia la strada! Sembra
una nave fantasma perché non scorgiamo nessuno a bordo, nemmeno per scambiare
un saluto d’intesa.
Ora la navigazione è finalmente tutta in discesa: grazie ai preziosi consigli
dell’amico Antonio, kayaker locale, adocchiamo il nostro campo per la notte
poco oltre il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, su una spiaggia deserta protetta dalle solite massicciate di pietra lavica.
Neanche un ombrellone in vista, solo lavori di rifacimento del lungomare e di
protezione della linea ferroviaria Circumvesuviana. La sabbia è nera e bollente,
ricolma di immondizia. Il mio motto è sempre questo: c’è bellezza
ovunque, anche tra montagne di spazzatura. Dopo aver grufolato per un po’, scovo tra i detriti di plastica una serie di formine che ancora mancano alla mia ultraventennale collezione ed
un pezzo davvero unico: un corno rosso napoletano contro il malocchio di
dimensioni notevoli che adesso campeggia sulla prua del mio kayak.
Ceniamo al riparo dei
massi, prima del solito visto che siamo soli, ma aspettiamo diligenti che
scenda il tramonto per montare le tende. Intorno non si vede nessuno, neanche
la luna piena: stanotte dovremmo poter recuperare il sonno perduto!
Domenica 25 luglio 2021 –
8° giorno di viaggio
Spiaggia del Buon Sonno di
Portici – Castellammare di Stabia:
Ci svegliamo tardissimo,
quando il sole è già alto.
Riceviamo le tristi
notizie degli incendi nel cuore della Sardegna.
Ripartiamo più tardi del solito, quando è già passato mezzogiorno!
Dopo appena
Su sua indicazione ci
sediamo ai tavolini della pescheria di fronte ed ordiniamo in stretta sequenza:
un cuoppo di baccalà fritto, tre fritture miste di pesci, calamari e gamberi,
una porzioni di alici marinate, un’insalata di polpo e una superba impepata di
cozze. Birra e crema di caffè per suggellare un pasto improvvisato e
impeccabile. E acqua gratis a volontà.
Ripartiamo un po’ brilli
ed un tantino appesantiti.
Ma il tragitto non è dei più entusiasmanti e volevamo rifarci la pancia non
potendo rifarci gli occhi. I paesi vesuviani, infatti, non offrono al mare il
loro lato migliore: la costa è disseminata di fabbriche dismesse, palazzi
diroccati o condomini asserragliati gli uni agli altri. Solo un breve tratto
nei pressi di Santa Maria
Un maestoso pino marittimo
ormai secco attira la nostra attenzione ma Claudia taglia corto: “mi sarei
seccata anch’io a vivere tra quelle casette così brutte!”
Superiamo facilmente il
porto di Torre Annunziata e raggiungiamo lo Scoglio di Rovigliano che, col sole
nascosto dietro nuvole rade, irradia dalla torre diroccata una luce molto
scenografica.
Per un attimo, uno soltanto, accarezziamo l’idea di sbarcare alla foce del
Sarno. Poi il colore e l’odore dell’acqua ci ricordano che si tratta del fiume
più inquinato d’Europa e ci basta una smorfia d’intesa per decidere di
proseguire verso sud.
Raggiungiamo la bocca del porto di Castellammare di Stabia nell’ora di punta:
ci sono talmente tanti yacht che rientrano dalla gita domenicale che si creano
delle lunghe code all’ingresso. Meglio per noi, visto che sono tutti costretti
a rallentare. In un momento di “stanca”, ci infiliamo tra due code e puntiamo
la spiaggia di sabbia che si è formata proprio sotto la torre di comando del
porto, che illuminata da un timido sole del tramonto sembra il profilo stilizzato
di un vecchio “terminalone” (cose da nerd!).
Sbarchiamo nel momento esatto in cui si sta svolgendo il rito collettivo di un battesimo dei Testimoni di Geova: una ragazza dai capelli rossi prima ed una ragazzo moro dopo vengono accompagnati in mare da un terzo fedele e si immergono completamente vestiti. Escono coi capelli e gli abiti grondanti d'acqua (un po' putrida, a dire il vero!) tra gli applausi scroscianti della folla accalcata sulla battigia e per un po’ sono tutti impegnati a scattare foto e girare filmati.
Mentre spettiamo che cali il buio, ceniamo, aggiorniamo il diario e guardiamo il profilo scuro del Vesuvio alla nostra destra. Dormiamo alle pendici del vulcano attivo più grande d’Europa. Il mio pensiero ricorrente è sempre lo stesso: speriamo non esploda!
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