IL BLOG DI TATIYAK

Il kayak è diventato la nostra grande passione, quella che ci appaga al punto da abbandonare tutte le altre per dedicarci quasi esclusivamente alla navigazione.
In kayak solchiamo mari, silenzi, orizzonti ed incontriamo nuovi amici in ogni dove...
Così abbiamo scoperto che la terra vista dal mare... è molto più bella!
Tatiana e Mauro

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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25 luglio 2021

Sud Italia Kayak Tour: il diario da Capo Miseno a Castellammare di Stabia

Venerdì 23 luglio 2021 – 6° giorno di viaggio
Spiaggia Verde di Capo Miseno - Bagnoli: 20 km
Sereno – moto ondoso da traffico marittimo

Le case che sovrastano la Spiaggetta Verde sono delle fattorie piene di galli canterini che iniziano ad augurarci il buon giorno ben prima che inizi il giorno. Meglio questi schiamazzi mattutini di quelli notturni inflitti da un manipolo di ragazzi sul motoscafo che ha gettato l’ancora davanti alle nostre tende e che ha trasformato la baietta in una discoteca notturna: imprecazioni varie, tappi per le orecchie e materassino bucato (il terzo dall’inizio del viaggio!)

Il risveglio è quindi tutt’altro che allegro ma riceviamo la visita a sorpresa di un canoista locale che, passando vicino alla costa, ci ha notato ed è sbarcato per salutare e per chiedere numi sul nostro giro: ad avere tempo, ci dice, lo farei anch’io, ma dovrò aspettare la pensione.
Ci sentiamo un po’ vecchi ma decisamente privilegiati!

La foschia che ieri avvolgeva le isole ,oggi ricopre l’intera baia di Pozzuoli e ci lascia scoprire le sue bellezze una ad una, con la sorpresa di riconoscerle solo quando sono davanti alle nostre prue: in stretta sequenza passiamo il paesino di Bacoli, il tunnel scavato nel tufo dell’Isola Pennata, i giardini terrazzati e ben curati di Baia, le casine colorate affacciate sul golfo, il castello col suo faro rosso, la città sommersa e le terme di Lucrino e l’indimenticabile fermata della Circumflegrea...

Cerco e trovo le case degli amici di un tempo dove avevamo trascorso serate di risate e confidenze, accompagno le pagaiate ai ricordi degli anni passati a Napoli ad esplorare i dintorni in kayak, in moto ed in bicicletta, riconosco i luoghi esplorati più e più volte: in quella spiaggia ho organizzato un corso di kayak, in questa baia ho seguito un corso di archeo-sub, in questa insenatura scendevo a leggere e riposare dopo una pagaiata in solitaria...

Attraversiamo il porto di Pozzuoli con una certa emozione perché i traghetti in arrivo entrano in derapata, senza mai accennare a rallentare, e quelli in uscita sembrano immobili fino al momento prima di occupare la bocca di porto. Ci ritroviamo in prossimità della luce verde, quindi a nostro avviso quasi fuori pericolo, mentre all’improvviso compaiono un traghetto carico di camion, una bettolina dell’acqua e un aliscafo turistico che costeggiando la diga foranea si era celato alla nostra vista fino all’ultimo secondo. Claudia è la più esterrefatta: mai visto tanto traffico in mare!
Facciamo così le prove generali per passare domani il porto di Napoli.

Oltre il paese vecchio di Pozzuoli, in corso di completa ristrutturazione con risultati molto promettenti, scoviamo un piccolo imbarcadero affollato di barchette tra le quali sgattaioliamo per raggiungere la riva: da lì saliamo lungo la passeggiata alberata e scegliamo la pizzeria del porto per il nostro primo pranzo a tavola!
Solo che la pizzeria non serve pizze a pranzo: ci accontentiamo di un antipasto all’italiana con supplì, crocchette, frittata di pasta, mozzarella in carrozza, verdure miste fritte e una tripla porzione di zeppoline buonissime. E di un primo leggero a base di scialatielli con puparuoli, pecorino e cozze: ottimi, solo un tantino salati!

Prima di ripartire facciamo rifornimento d’acqua al distributore automatico: 5 centesimi a litro, con la possibilità di scegliere tra naturale, leggermente frizzante e frizzante, e di interrompere per un massimo di 30 secondi per il cambio della bottiglia. Claudia ed io siamo talmente brave da non rovesciare neanche una goccia e da azzeccare l’ammontare di spiccioli necessaria per riempire le nostre bottiglie da un litro e mezzo: adoriamo queste innovazione tecnologiche segno di grande civiltà!
L’acqua è ghiacciata e tornando ai kayak ci schiacciamo le bottiglie sul collo e sulla fronte per trovare refrigerio all’afa estiva: nell’imbarcadero non si muove una foglia e sudiamo sette camicie per rimetterci in mare.

La nostra meta oggi non è lontana e ci concediamo una serie di soste fotografiche sotto ognuno dei moli di Bagnoli, lunghi e cadenti, abbandonati da anni ma fieramente resistenti alle intemperie, allungati in mare come giganteschi belvedere di cemento armato, in alcun modo valorizzati ma dal grande potenziale simbolico. I piloni che escono dall’acqua creano una selva arrugginita e fatata disseminata di infiniti passaggi, tutti intricati e suggestivi, ora illuminati da una luce radente e rosata che ci tiene a lungo intrappolati tra i suoi molteplici piani prospettici.

La baia è sempre sormontata dall’imponente struttura industriale dell’ex Ilva, ormai dismessa da anni, dalle sue ciminiere svettanti e dai capannoni della Nuova Città della Scienza recuperata dal devastante incendio del 4 marzo 2013.

L’ultimo tratto della baia è interamente occupata da una distesa di migliaia di barche all’ormeggio: lo sciabordio degli scafi sulle onde genera una cantilena musicale molto accattivante, ipnotica e riposante, che rimaniamo ad ascoltare per qualche lungo momento di riposante relax. Passiamo cauti tra i canaletti delimitati dalle boe di ormeggio e ristretti dalle cime di ancoraggio: è un continuo avvicendarsi di gommoni e motoscafi, di mezzi marinai calati, di chiamate alle barchette di collegamento con la terraferma, di urla e schiamazzi e…

Preferiamo superare il ponte di collegamento con Nisida, l’isola da sempre sede di un carcere minorile, e campeggiare sulla caletta di ciottoli scuri che si apre sotto il belvedere del Parco Virgiliano: qui è tutto un via vai di fotografi e fotografati che ci incuriosiscono assai. Chiediamo: preparano i ricordi per “l’anteprima” dei diciotto anni, dei dieci anni, dei sei anni e giù giù fino all’anteprima della nascita. Un magnifico pancione di otto mesi campeggia sui nostri kayak fino ad oltre il tramonto, con varie pose artistiche tra ciondoli evocativi, bavaglini ricamati e scarpette da neonato.

Quando cala l’oscurità e pensiamo di essere rimasti finalmente soli, tracima sulla spiaggia una comitiva di vocianti pensionati con tanto di brace, stereo e cinepresa… 
Sarà un’altra notte travagliata? Di certo meno della precedente, visto che ho un nuovo materassino da spiaggia rosa shocking talmente grande che non sono neanche sicura di riuscire a farlo entrare in tenda!

Sabato 24 luglio 2021 – 7° giorno di viaggio
Bagnoli - Portici: 21 km
Sereno – moto ondoso da traffico e barriere frangiflutti

Notte insonne, altro che travagliata!
Ai pensionati discotecari si uniscono dei giovani urlatori che hanno pensato bene di sparare i fuochi d’artificio esattamente sopra le nostre tende, che per fortuna non hanno preso fuoco (al mattino abbiamo trovato la scatola usata proprio sopra il molo: avranno scordato di portarla via!). Poi è il turno di una numerosa famiglia di bagnanti notturni che chiamano a mitraglia il povero figlioletto: “Gianco vieni in acqua, Gianco esci dall’acqua, Gianco asciugati, Gianco siediti, Gianco ridi”. Il povero Gianco riesce ad averla vinta sugli adulti e a convincerli di riportarlo a casa quando è ormai calata la luna piena (quasi piena: il plenilunio è domani!) ed è già spuntata l’alba: la madre saluta baldanzosa tutta la spiaggia, aggiungendo un sonoro “Ciao, ragazzi in tenda!” e a me scappa un lungo saluto di ricambio della mia mano destra che attraversa tutta la tenda col dito medio alzato!

Per pochi minuti si sentono solo i cinguettii dei passerotti. Ma subito dopo compaiono le comari da spiaggia che fanno domande a raffica a Claudia, già sveglia sul fare dell’alba, con un tono di voce talmente alto che sembrano intenzionate a svegliare anche i detenuti del carcere minorile di Nisida. E niente, usciamo dalla tenda stanchi come cenci e lenti come bradipi iniziamo i preparativi: ci imbarchiamo alle undici suonate!

Prima tappa: il cratere vulcanico di Nisida, un maestoso anello di pietra lavica aperto sul mare con i bordi interni digradanti e ricoperti di fichi d’india. Sostiamo solo qualche minuto perché l’ingresso è vietato (non c’è manco un cartello ma lo dice il portolano).
Seconda tappa: la Baia di Trentaremi, un’alta falesia di tufo dorato ai piedi della collina di Posillipo, scavata in più punti dall’opera del mare e dell’uomo. Anche qui non si potrebbe passare perché è stata da qualche anno istituita l’Area Marina Protetta della Gaiola. Siccome però il traffico a motore è indistintamente irrispettoso dei segnalamenti marittimi posti ai confini della riserva, noi scegliamo di difenderci dal reticolo di rotte imprevedibili pagaiando vicino alla scogliera.
Terza tappa: spiaggetta della Gaiola, una lingua di sabbia vulcanica incastonata tra le scogliere. Quando ho vissuto a Napoli per quasi dieci anni, oltre vent’anni fa, ci arrivavo spesso in kayak e ci passavo interi pomeriggi a leggere sugli scogli. Ora è completamente libera da ombrelloni e bagnanti e gioisco della scelta. Mauro è il solo a sbarcare per sostituire le batterie improvvidamente scariche del GPS: il responsabile della riserva scende le scalette per informarlo gentilmente che un’ordinanza comunale odierna vieta la balneazione lungo l’intero litorale napoletano per livelli troppo alti di inquinamento (non meglio specificato, quindi noi inventiamo un’invasione di “vattelappesca-coli”).

Le tappe successive ce le godiamo dal kayak: Marechiaro con i suoi bagni a palafitte, la villa presidenziale Rosebery presidiata da una pilotina militare, il porticciolo di Posillipo dove scendevo spessissimo in moto per guardare la città dal mare; nella caletta sovraffollata di Villa Lauro sbarchiamo per una pausa pranzo veloce, giusto il tempo di scattare un paio di foto al set cinematografico della serie televisiva “Un posto al sole”.
Ci lasciamo ammaliare dalla vista dei palazzi colorati dai terrazzi tutti differenti fino all’indimenticato Palazzo Donn’Anna, dove avevo scovato un perfetto rimessaggio per il mio kayak (lui in un palazzo del settecento, io nei Quartieri Spagnoli). Pensavo che mi avrebbe assalito la nostalgia, invece ogni ricordo legato a Napoli è talmente bello che pagaiato con un sorriso beato stampato in viso!

Costeggiamo infine Mergellina, la Riviera di Chiaia e Castel dell’Ovo: per ognuno di questi luoghi memorabili avrei altri aneddoti o espisodi da raccontare e chissà che non finisca tutto nel prossimo libro di racconti di viaggi in kayak.

Ora è giunto il momento di affrontare il Porto di Napoli.
Il porto più grande che ci sia mai capitato di attraversare, più di quelli siciliani che al confronto ci sembrano delle mere succursali. Il vecchio faro dipinto di rosso potrebbe trarre in inganno perché è posizionato accanto alla luce verde. La diga foranea, però, è stata allungata negli anni ed ora la luce rossa di ingresso campeggia molto più in là, in una posizione che arrivando da nord non agevola la visibilità all’interno del porto (visto che chi progetta i porti non pensa mai ai canoisti!).
La nostra strategia è semplice: aspettare.
Aspettiamo che nessun traghetto o aliscafo o nave o portacontainer o altro natante entri o esca dal porto. Aspettiamo per un po'. Aspettiamo finché non entra un ultimo aliscafo. In un battibaleno siamo dall’altra parte, protetti sotto la luce verde, proprio mentre dal molo interno, adesso visibile, un piccolo traghetto raggiunge la bocca di porto, anche lui in un battibaleno. Ma ormai siamo di là dal canale navigabile, in salvo. Tiriamo fiato ma sappiamo che non è ancora finita.

Adesso si tratta di costeggiare la lunga diga foranea che protegge i cantieri navali e che sta cadendo a pezzi in diversi punti: al fondo c’è una seconda bocca di porto da superare. Dopo una buona mezz’ora di navigazione su un mare che Claudia definisce “scapigliato”, per via dell’onda di ritorno che genera una poderosa “lavatrice”, raggiungiamo finalmente la testa della diga foranea.
Adottiamo la stessa strategia, visto che in questo caso la visuale è decisamente migliore: ci portiamo tra le due luci rosse allineate, anche noi in perfetto allineamento, e puntiamo il naso dei kayak qualche metro dentro.
“Frena, frena, frena” grido all’improvviso, bloccando sul nascere ogni speranza di attraversare al volo: la nave cisterna Marina Piccola avanza baldanzosa e ci taglia la strada! Sembra una nave fantasma perché non scorgiamo nessuno a bordo, nemmeno per scambiare un saluto d’intesa.

Ora la navigazione è finalmente tutta in discesa: grazie ai preziosi consigli dell’amico Antonio, kayaker locale, adocchiamo il nostro campo per la notte poco oltre il Museo Nazionale Ferroviario di Pietrarsa, su una spiaggia deserta protetta dalle solite massicciate di pietra lavica. Neanche un ombrellone in vista, solo lavori di rifacimento del lungomare e di protezione della linea ferroviaria Circumvesuviana. La sabbia è nera e bollente, ricolma di immondizia. Il mio motto è sempre questo: c’è bellezza ovunque, anche tra montagne di spazzatura. Dopo aver grufolato per un po’, scovo tra i detriti di plastica una serie di formine che ancora mancano alla mia ultraventennale collezione ed un pezzo davvero unico: un corno rosso napoletano contro il malocchio di dimensioni notevoli che adesso campeggia sulla prua del mio kayak.

Ceniamo al riparo dei massi, prima del solito visto che siamo soli, ma aspettiamo diligenti che scenda il tramonto per montare le tende. Intorno non si vede nessuno, neanche la luna piena: stanotte dovremmo poter recuperare il sonno perduto!

Domenica 25 luglio 2021 – 8° giorno di viaggio
Spiaggia del Buon Sonno di Portici – Castellammare di Stabia: 21 km
Cielo coperto e foschia estesa – moto ondoso da traffico a motore

Ci svegliamo tardissimo, quando il sole è già alto.
Riceviamo le tristi notizie degli incendi nel cuore della Sardegna. 
Ripartiamo più tardi del solito, quando è già passato mezzogiorno!

Dopo appena 4 chilometri entriamo nel porto di Torre del Greco ed individuiamo lo scivolo che Mauro aveva salvato nel GPS: è nascosto da una tripla fila di piccoli gozzi colorati ma non è difficile raggiungerlo perché il posteggiatore abusivo del porto (che è forse anche il matto del paese) ci aiuta a scostare due barche per farci spazio.

Su sua indicazione ci sediamo ai tavolini della pescheria di fronte ed ordiniamo in stretta sequenza: un cuoppo di baccalà fritto, tre fritture miste di pesci, calamari e gamberi, una porzioni di alici marinate, un’insalata di polpo e una superba impepata di cozze. Birra e crema di caffè per suggellare un pasto improvvisato e impeccabile. E acqua gratis a volontà.

Ripartiamo un po’ brilli ed un tantino appesantiti.
Ma il tragitto non è dei più entusiasmanti e volevamo rifarci la pancia non potendo rifarci gli occhi. I paesi vesuviani, infatti, non offrono al mare il loro lato migliore: la costa è disseminata di fabbriche dismesse, palazzi diroccati o condomini asserragliati gli uni agli altri. Solo un breve tratto nei pressi di Santa Maria la Bruna merita un paio di foto per la vecchia torre diroccata sui dilavati scogli di pietra lavica. Per il resto, massicciate di scogli proteggono strette lingue di spiagge nere come il vulcano che incombe alle spalle: non ci sono quasi tratti liberi e proseguiamo oltre.

Un maestoso pino marittimo ormai secco attira la nostra attenzione ma Claudia taglia corto: “mi sarei seccata anch’io a vivere tra quelle casette così brutte!”
Superiamo facilmente il porto di Torre Annunziata e raggiungiamo lo Scoglio di Rovigliano che, col sole nascosto dietro nuvole rade, irradia dalla torre diroccata una luce molto scenografica. 

Per un attimo, uno soltanto, accarezziamo l’idea di sbarcare alla foce del Sarno. Poi il colore e l’odore dell’acqua ci ricordano che si tratta del fiume più inquinato d’Europa e ci basta una smorfia d’intesa per decidere di proseguire verso sud.
Raggiungiamo la bocca del porto di Castellammare di Stabia nell’ora di punta: ci sono talmente tanti yacht che rientrano dalla gita domenicale che si creano delle lunghe code all’ingresso. Meglio per noi, visto che sono tutti costretti a rallentare. In un momento di “stanca”, ci infiliamo tra due code e puntiamo la spiaggia di sabbia che si è formata proprio sotto la torre di comando del porto, che illuminata da un timido sole del tramonto sembra il profilo stilizzato di un vecchio “terminalone” (cose da nerd!). 

Sbarchiamo nel momento esatto in cui si sta svolgendo il rito collettivo di un battesimo dei Testimoni di Geova: una ragazza dai capelli rossi prima ed una ragazzo moro dopo vengono accompagnati in mare da un terzo fedele e si immergono completamente vestiti. Escono coi capelli e gli abiti grondanti d'acqua (un po' putrida, a dire il vero!) tra gli applausi scroscianti della folla accalcata sulla battigia e per un po’ sono tutti impegnati a scattare foto e girare filmati.

Mentre spettiamo che cali il buio, ceniamo, aggiorniamo il diario e guardiamo il profilo scuro del Vesuvio alla nostra destra. Dormiamo alle pendici del vulcano attivo più grande d’Europa. Il mio pensiero ricorrente è sempre lo stesso: speriamo non esploda!

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