Martedì 7 settembre 2021 – 52° giorno di viaggio
Punta Alice – Cariati Marina: 20 km
Nuvoloso e piovoso – vento contrario e mare increspato
Un’altra notte di pioggia a catinelle.
E’ quasi impossibile prendere sonno per via dei lampi che illuminano a giorno la nostra tendina e dei tuoni che rombano proprio sopra le nostre teste. Ci sembra di entrare nel cuore di un tipico temporale estivo e di viverne appieno suoni e luci, talvolta sobbalzando per le scosse impreviste e ravvicinate e talaltra rilassandoci perché i secondi trascorsi tra il lampo ed il tuono lasciano intendere una distanza sempre crescente. Ad un certo punto Mauro prende a russare e io capisco che non c’è molto altro da fare, sicuramente niente da temere.
E mi addormento anch’io. Fino alle otto, di un sonno profondo e sereno.
La mattina è ancora fredda e scura.
Facciamo colazione all’aperto perché ha finalmente smesso di piovere ma con indosso la giacca d’acqua perché il vento è ancora teso e frizzante.
Le previsioni annunciano un calo per le undici ma non siamo più tanto sicuri della loro attendibilità. Ci siamo comunque preparati a partire, fiduciosi che il mare prima o poi sarebbe calato, almeno quel tanto per farci imbarcare. Passano le ore ma il vento non cala.
All’una e mezza spostiamo i kayak di un centinaio di metri, in un tratto di spiaggia più agevole per l’imbarco, dove le onde frangono con minore frequenza e soprattutto con un dumping più contenuto. Anche se le condizioni sono tutt’altre rispetto alle previsioni, ci decidiamo ad iniziare la nostra abituale navigazione quotidiana.
Aiuto Mauro e poi riesco a entrare in mare tra un treno d’onde e l’altro, con il giusto tempismo per non farmi riempire il pozzetto d’acqua.
E’ la prima volta che pagaiamo con le giacca d’acqua indossate!
Rincuorati dal fatto di avere potuto finalmente prendere il mare, ci guardiamo con un sorriso d’intesa e ci infiliamo nel vento!
La nostra velocità di crociera è bassissima, neanche due chilometri orari, contro i nostri soliti cinque o sei in condizione di mare tranquillo. Nel corso della prima ora di navigazione non copriamo neanche tre chilometri e le onde continuano ad essere alte più di un metro e mezzo, nascondendoci spesso alla vista l’uno dell’altra. Allo scadere della seconda ora Mauro legge sul gps la distanza di sette chilometri totali e la cosa ci conforta un tantino perché significa che, per quanto sempre molto lenti, abbiamo migliorato un poco l’andatura. Solo dopo tre ore riusciamo a raggiungere i dieci sospirati chilometri e, siccome il luogo sembra propizio, possiamo anche sbarcare per una breve pausa.
Abbiamo raggiunto la foce del fiume Nicà e la spiaggia è ricoperta di grandi tronchi bianchi levigati dall’acqua e dal vento. Mauro scende dal kayak con la sua solita eleganza mentre a ma capita qualcosa di imprevisto: nel tirare in secca il kayak, si rompe la cima del maniglione di prua. Il kayak ridiscende all’istante in mare e, sotto l’impeto della prima onda, il pozzetto si riempie completamente di acqua e ciottoli, ora ben più grandi e pesanti di quelli che ho sinora usato per decorare le mie mani. Resto stupefatta per qualche secondo, poi Mauro mi richiama all’ordine: è la seconda volta che mi si rompe il maniglione del kayak, la prima durante il periplo della Sicilia, in uno sbarco anche più impegnativo di questo, ma ogni volta è come se si rompesse qualche tendine o legamento, qualche pezzettino di te. Per questo ogni volta ci metto un po’ a riprendermi. Impiego una buona mezz’ora per ripulire il fondo del pozzetto dai ciottoli, infilatisi sotto il seggiolino che scricchiola in maniera sinistra.
Fortuna vuole che, grazie proprio al vento, il cielo si è aperto ed un sole ancora gradevole si fa strada tra le nuvole e ci riscalda a dovere.
Dopo uno dei rigeneranti fruttini di mele cotogne del Mammut, riprendiamo il mare.
Ci attendono altre due ore di navigazione per raggiungere la nostra meta, il porticciolo di Cariati Marina. Vista la frequente discrepanza tra le previsioni meteo e la realtà, non vogliamo passare un’altra serata in balia del vento. Almeno in porto potremo facilmente sbarcare e imbarcarci nuovamente. Alla fine, non ci dobbiamo neanche entrare, nel porto, perché la profonda spiaggia di sabbia fine che si è ricreata subito a sud dell’ingresso sembra perfetta per trascorrerci la notte. Riparata dalle onde e dal vento, è anche il luogo ideale per raggiungere in poco tempo la più vicina pizzeria del lungomare, dove mangiamo una pizza “fantasia” divisa a metà, così ad ognuno spetta un triangolo di gusti differenti. Il modo migliore per chiudere la giornata.
Mercoledì 8 settembre 2021 – 53° giorno di viaggio
Cariati Marina – Capo Trionto: 25 km
Sereno variabile – vento contrario in attenuazione
Notte serena e stranamente silenziosa, anche se in paese.
Alle otto del mattino, però, mi svegliano tre forti esplosioni. Chiedo a Mauro cosa sono: fuochi d’artificio oppure esercitazioni di contraerea!
Ne avevamo sentita una anche la sera prima e, come stamattina, non riusciamo a spiegarci la ragione di tanto trambusto.
Dopo avere fatto rifornimento d’acqua nel vicino stabilimento balneare, ormai chiuso ma il cui gestore, a detta di un sub di passaggio, ha lasciato un rubinetto di acqua a disposizione degli amici, ci dirigiamo in pompa magna al vicino panificio per le scorte di pane tostato. Scopriamo così l’esistenza di un dolce tipico calabrese talmente buono da renderci all’istante dipendenti: la pitta ‘mpigliata! E’ buonissima! Preparata di solito per le festività pasquali e natalizie, è diventata talmente popolare da riempire anche l’estate, con nostra grande meraviglia e goduria!
Riprendere a navigare dopo una tale seconda colazione è facilissimo. Anche se il vento è contrario, com’era prevedibile nonostante le previsioni non lo prevedessero. Noi oggi avanziamo baldanzosi e sereni.
Passiamo la doppia luce verde dell’ingresso del porto di Cariati Marina, doppia perché è stata aggiunta una seconda barriera frangiflutti al termine della diga foranea, probabilmente per interrompere il flusso di sabbia che rischiava di ostruire la bocca di porto. C’è una terza barriera anche all’esterno del porto, a formare una sorta di massicciata a tridente giusto all’imboccatura del porto stessa: sembra che l’espediente abbia funzionato a dovere, visto che la spiaggia si è ricreata giusto all’esterno della diga foranea, dove non ci era mai capitato prima di vederne una.
Ieri abbiamo capito che navigare è sempre un regalo del mare.
Oggi ci ricordiamo che il mare può diventare di mercurio.
Dopo la mattinata di sole e di vento, proprio mentre facciamo una pausa pranzo nei pressi di Mandatoriccio Marina, una località balneare dove i lidi attrezzati sono ancora frequentati dai villeggianti settembrini, il cielo prende a coprirsi nuovamente ed il pomeriggio diventa tutto velato.
Il mare in questi casi si tinge della tinta delle nuvole. Non è raro scoprire sulla superficie, tra le increspature delle onde, le tonalità cangianti del cielo: le piccole smagliature dell’acqua si colorano di rosa, di celeste, di grigio, di bianco, di giallo paglierino e di ogni altro colore che le nuvole sono capaci di catturare e diffondere. Il mare riflette colori ed umori.
Oggi il mare è color mercurio. Ed è una meraviglia.
Quasi ci dimentichiamo di guardare la costa, disseminata di lottizzazioni che hanno cementato la prima fascia sopra la spiaggia, ma anche caratterizzata da basse colline morbide e ridenti, coperte di campi di fieno appena rasati oppure di grandissime distese di ulivi ordinati e carichi di frutti. Sulle cime più alte ed impervie sono arroccati i paesini di pietra e da quaggiù sembrano uno più bello dell’altro. Peccato solo per le casette sulla sabbia che il mare ha mangiato qua e la, facendo crollare i muretti di cemento che proteggevano il giardino o la veranda.
Nel pomeriggio navighiamo bene e copriamo la distanza sperata senza la minima fatica. Stavolta il vento rispetta le previsioni, anche se con notevole ritardo, e Capo Trionto si avvicina velocemente. C’era un faro a segnalare la foce dei fiume ma è stato nel tempo soffocato dalle costruzioni e superato dall’avanzare della foce. E’ arrugginito e spento, senza più neanche la luce, con la balconata come una corona inutile a cingere la sua testa bassa e ormai oscurata. Mette malinconia.
Però il posto è ideale per il campo. Sbarchiamo e montiamo la tenda in quattro e quattr’otto perché la brezza di terra ci porta un forte odore di pioggia. Speriamo che migri verso l’interno ma nell’incertezza ci prepariamo in fretta. Poi le nostre previsioni si rivelano esatte: lampi e tuoni si spostano in collina senza che la pioggia arrivi a bagnarci la tenda.
Mauro prepara il cous-cous al sugo e… per errore ne cade in pentola quasi mezzo chilo: non riusciamo certo a mangiarlo tutto ed i gabbiani del luogo troveranno domani una gustosa colazione!
Giovedì 9 settembre 2021 – 54° giorno di viaggio
Capo Trionto - Schiavonea: 23 km
Soleggiato – vento contrario in attenuazione
La notte è molto umida, la mattina molto calda.
Lasciamo la tenda ad asciugare al sole mentre facciamo colazione e si radunano sotto i vicini ombrelloni di paglia gli ospiti dello stabilimento elioterapico sorto proprio accanto al faro di Capo Trionto.
Oggi le previsioni annunciano una brezza tesa da est, cioè sempre contraria alla nostra rotta. Le onde iniziano a frangere sulla battigia ricoperta di grandi ciottoli di fiume e ci richiedono un imbarco più sollecito ed attento. Tagliamo al largo il piccolo golfo su cui si affaccia il lido attrezzato dell’acqua-park di Rossano, da cui si alzano le incitazioni dell’animatore per il torneo di bocce che si sta disputando proprio ora.
Proseguiamo lungo una costa bassa e sabbiosa e antropizzata fino a raggiungere la Marina di Rossano: sbarchiamo nei pressi di una rotonda che sappiamo condurre alla fabbrica-museo Amarelli, famosa per la qualità della liquirizia lavorata e prodotta. Mia madre e mio fratello sono ghiotti di liquirizia ed una tappa era più che mai dovuta. Non mi azzardo a prenotare una visita guidata del museo perché già mentre ci avviciniamo gli odori sono così forti da risultare quasi nauseabondi, almeno per me che la liquirizia non sono mai riuscita a mangiarla. Facciamo acquisti, scattiamo una foto di rito sotto l’insegna, ammiriamo alcune delle attrezzatura un tempo utilizzate nell’antico “concio” ed ora ben conservate accanto al parcheggio dei visitatori come ottimo esempio di archeologia industriale. E poi torniamo ai kayak.
Alle quattro del pomeriggio riprendiamo a pagaiare verso le altissime ed inquietanti torri a fasce bianche e rosse delle centrale termoelettrica di Rossano, di cui abbiamo appena letto la storia recente sul web. Come per le altre centrali italiane, tutte costruite sul mare, queste torri sono dei moderni punti cospicui che segnano il territorio ma che al tempo stesso lo immalinconiscono, anche perché sono ormai dismesse e trascurate. Proprio sulla spiaggia sotto le due torri altissime, circondate da due caldaie e da numerosi serbatoi per il carburante, è sorto uno dei soliti rimessaggi per le barche da diporto, spostate dalla sabbia all’acqua con uno dei tanti trattori che abbiamo già più volte visto utilizzati in maniera impropria soprattutto sul litorale tirrenico della Calabria.
Superiamo le boe gialle che poco al largo segnalano il sito industriale, oppure l’area di alaggio dei natanti - vai a sapere (!) - e ci portiamo un po’ più al largo. Il mare qui diventa subito molto profondo e le tonalità sono quelle vivide e cangianti, dalla gradualità tipica delle cartoline caraibiche. Decine di barchette da pesca punteggiano l’orizzonte, più o meno grandi a seconda della distanza e della stazza. Molti pescatori sono ritti in piedi a poppa e manovrano le canne da pesca con la confidenza degli appassionati.
Le ultime ore di navigazione trascorrono lente ma ricche di forti emozioni. Prima uno stormo di gabbiani si avventa su una polla d’acqua in ebollizione, dove pesci più grandi che non riusciamo a riconoscere banchettano attorno ad un pallone di sardine. Gli uccelli bianchi volteggiano vocianti, i pesci argentei smuovono la superficie dell’acqua di spruzzi e bolle e zampilli che si susseguono e rincorrono per diversi minuti. Il banchetto prosegue proprio attorno ai nostri kayak, che non sembrano affatto infastidire o distrarre né i volatili né i pesci.
Poi è la volta di un branco di pesci volanti, che oggi escono a più riprese dall’acqua anche se il vento è ormai calato e rigano il mare con le loro alucce iridescenti. Sono piccoli ma numerosi e ogni volta ci sorprendono un po’: sanno nuotare e volare al tempo stesso, quando sono in aria sembrano spauriti e vulnerabili ma sappiamo per esperienza che il loro volo radente e rapido può essere persino doloroso se incontrano l’ostacolo inaspettato di un pagaiatore. Doloroso più per il pagaiatore che per il pesce!
Infine, quando pensiamo che le emozioni della giornata siano davvero finite perché stiamo ormai raggiungendo la riva, incrociamo un gigantesco pallone di alici che transita esattamente sotto le chiglie dei nostri kayak e che nella luce radente del tardo pomeriggio brilla in acqua come una sfera magica, piena di tanti pesciolini d’oro. Resto sedotta dallo spettacolo e sono sicura che nessuna delle foto scattate riuscirà a restituire l’immagine poetica che ci ha regalato oggi il mare.
E le sorprese non sono ancora finite.
Appena sbarchiamo ci arriva un messaggio di Piergiorgio: sta venendo a prenderci per portarci a Rossano a visitare il centro storico, la cattedrale, il museo che conserva il Codex divenuto Patrimonio dell’Umanità, le altre chiese sparse, i vicoli rimessi a nuovo, le vecchie botteghe e ogni angolo poco conosciuto della sua bella cittadina collinare. E’ un eccelso padrone di casa, amante della sua terra e desideroso di far conoscere le meraviglie del territorio a tutti i turisti di passaggi, noi compresi. Restiamo in sua compagnia anche per cena e tiriamo quasi mezzanotte, un orario che per noi è diventato tardissimo ma che siamo molto contenti di trascorrere in amicizia!
Venerdì 10 settembre 2021 – 55° giorno di viaggio
Schiavonea – Laghi di Sibari: 12 km
Sereno e soleggiato – leggera brezza contraria
Forse la pizza era un po’ pesante perché ho avuto una notte da incubo. Nel senso che ho proprio avuto gli incubi, quelli con gli incendi, le fughe rocambolesche, lo corse a perdifiato sulla spiaggia, gli amici che non ti ascoltano ed il risveglio sudato col cuore che batte all’impazzata.
Poi però si fa giorno e tutto passa.
I risvegli in campeggio nautico sono così: sereni, sempre!
In più stamattina riesco a godermi l’aurora.
Forse per gli incubi notturni mi sveglio prima del solito e quando spunta il primo rossore sul mare io sono già con la testa fuori dalla tenda: i colori sono intensi, quasi pastosi, e pian piano cielo e mare, prima scuri e neri da sembrare un unico orizzonte, si separano e cambiano dimensione: il mare resta scuro mentre il cielo si colora di porpora, arancio e senape e più su anche di bianco e celeste e blu, lo stesso blu del cielo che si rispecchia in mare. E’ un vero spettacolo! E rimpiango tutte le volte che me lo sono perso perché passa in orari per me impossibili da rispettare, con la mia pigrizia e sonnolenza… Ma sono anche contenta di avere avuto almeno un’occasione. Questa occasione!
Gli ultimi dieci chilometri del nostro viaggio si preannunciano calmi e tranquilli. L’acqua del mare è piatta come uno specchio e solo nella tarda mattinata, quando si alza la solita brezzolina contraria, la superficie si ricopre di increspature come un lenzuolo stropicciato. I colori sono ancora e sempre bellissimi. Sembra di pagaiare sulla tavolozza di un pittore, con tutto questo verde acqua, verde smeraldo e verde scuro che poi tracima nel carta da zucchero, azzurro vivace e blu oltremare. Ogni pagaiata tocca una tonalità diversa e anche l’emozione è ogni volta diversa, come i diversi colori del mare.
Quando raggiungiamo la foce del fiume Crati il mare cambia di nuovo ed ora è giallo e bianco: il fondale è talmente basso che l’acqua diventa trasparente e riflette solo il colore della sabbia. Qualche airone cinerino ci scruta dall’interno mentre passiamo proprio a pochi metri dalla riva. Per un momento pensiamo di entrare a curiosare e di risalire il fiume per qualche centinaio di metri, ma poi ci limitiamo ad ammirare la bellezza sospesa del paesaggio. Salutiamo gli aironi e proseguiamo oltre. Anche perché la corrente spinge in su che è una meraviglia e noi voliamo sui bassi fondali a 7 chilometri orari.
Lasciati alla spalle i grandi alberi frondosi del fiume, la spiaggia prosegue bassa e lineare fino alla successiva foce. Stavolta però si tratta di un bacino artificiale, quello realizzato per accedere ai Laghi di Sibari.
Visti dalla mappa sembrano una cittadella in stile americano, come un bacino attrezzato della Florida. Anche dal vivo sembra una grande opera di ammodernamento di uno spazio lacustre forse un tempo abitato solo da uccelli di passo e pesci. I pesci e gli uccelli sono ancora tutti qui, i primi che scappano sotto i nostri kayak con gran tramestio d’acqua, ed i secondi che si sistemano sulle staccionate dell’allevamento di mitili come fossero su un espositore. Tantissime sono le garzette bianche che sorvolano lo specchio d’acqua e che si posano sulle grandi boe rosse e nere dell’allevamento.
Per il resto, i laghi sono circondati di casette a schiera. Colorate e basse, due o tre piani, alcune con un piccolo giardino antistante, tutte con il molo in legno per l’attracco del motoscafo o della barca a vela. Le briccole sono un po’ datate, a dire il vero, e giusto sotto la superficie sono “ricamate” da grandi formazioni coralline. I pesci continuano a saltare da tutte le parti e manca poco che qualcuno non provi a saltarci direttamente nel pozzetto.
Ci crogioliamo un po’ al sole nella calma dell’ora di pranzo di questo insolito e particolare insediamento urbano sui laghi e poi risaliamo verso il canale di accesso: diverse barche a motore ci superano senza problemi e senza fretta e non impieghiamo molto per ritrovarci in mare aperto.
Passiamo la luce verde del canale e scorgiamo subito la nostra ultima spiaggia: sbarchiamo alle due del pomeriggio, pranziamo poco dopo e alle tre io sono già pronta per andare in visita agli scavi archeologici e al Museo Nazionale della Sibaritide. Resto in giro fino alle sette di sera perché la distanza tra gli scavi ed il museo è di oltre tre chilometri: fortuna che la seconda tratta la copro in auto grazie ad una delle guide che si offre di darmi un passaggio per evitare il traffico pesante della strada statale di collegamento. Servirebbe una navetta, chissà che il nuovo direttore non pensi anche a questo, oltre che a risistemare e valorizzare tanto gli scavi quanto le sale espositive ora in riallestimento. E’ comunque un’ultima tappa nella Magna Grecia per me molto emozionante!
Rientro con un bel mazzo di piante secche raccolte sul ciglio della strada e trovo Mauro che si appresta a cucinare.
Ceniamo sotto le stelle.
Sabato 11 settembre 2021 – fine del viaggio
Laghi di Sibari - Latina: 445 km in auto
Fortunali da ricordare!
Siamo svegli sin dalle sei del mattino.
Le urla dei primi pescatori giunti in spiaggia ci strappano al sonno. Parlano lingue mai sentite, con modulazioni impossibili da replicare e con accenti dialettali così forti da risultare stranianti. La nostra ultima notte di viaggio poteva essere un po’ più tranquilla ma non ci dispiace poi tanto essere stati svegliati di soprassalto molto prima del previsto.
Oggi non abbiamo nessuna fretta di smontare il campo: aspettiamo che arrivi Carlo, il nostro amico che ci ha accompagnato anche a Terracina 55 giorni fa. E’ così generoso da essersi offerto di venirci pure a riprendere con la Mauromobile. L’alternativa avrebbe comportato risalire coi mezzi pubblici e spendere più di 15 ore tra autobus e treni. Per poi tornare a riprendere i kayak e fare così tre volte la stessa tratta. Capiamo ancora meglio perché questo litorale ionico della Calabria sia ancora fuori dalle solite rotte turistiche.
Pensiamo di poter fare colazione al nostro solito modo e invece proprio l’ultimo giorno di campeggio nautico cambia tutto. La pioggia prende a cadere con forza crescente sin dalle sette del mattino e cade ancora fino a quasi mezzogiorno. Quando le previsioni danno vento a favore non risultano attendibili, com’è stato negli ultimi giorni, ma quando invece sono sfavorevoli si rivelano sempre precisissime: pioggia e temporali e vento e freddo e tenda piegata sotto le sterzate del mal tempo.
Siamo costretti a fare colazione in tenda. E nell’attesa scriviamo queste ultime righe di aggiornamento del diario.
E’ un modo un po’ insolito di chiudere una lunga navigazione estiva ma è anche una maniera intima e protetta di trascorrere le ultime ore di viaggio: riparati nella nostra povera tendina, stretti tra le varie cose recuperate dai gavoni e che rendono la tenda ancora più piccola.
Ci siamo talmente abituati a mangiare all’aria aperta negli ultimi 55 giorni che oggi ci sembra di essere un po’ impacciati ed impreparati.
Quando finalmente smette di piovere, iniziamo ad asciugare e riporre le nostre cose e proprio mentre smontiamo la tenda arriva Carlo con la Mauromobile ed in meno di un’ora siamo pronti per tornare a casa…
E adesso il viaggio in kayak è davvero finito!